2010-03-26 15:06:45

Padre Cantalamessa: le sofferenze di questo momento porteranno a una più grande purezza della Chiesa


"Cristo soffre più di noi per l’umiliazione dei suoi sacerdoti e l’afflizione della sua Chiesa. Se lo permette, è perché conosce il bene che da essa può scaturire in vista di una maggiore purezza della Chiesa". Con queste parole, il predicatore pontificio, padre Raniero Cantalamessa, ha concluso questa mattina in Vaticano, alla presenza del Papa e della Curia Romana, la sua terza e ultima meditazione quaresimale, incentrata sulle tentazioni che possono mettere in crisi il sacerdozio. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3



All’interno della Chiesa, come gli ultimi eventi dolorosamente stanno mostrando, c’è “necessità di una purificazione” a “partire dal clero”. Con la consueta schiettezza, accompagnata da toni di appassionata difesa della vocazione sacerdotale, padre Cantalamessa ha terminato il ciclo di meditazioni quaresimali di quest’anno, soffermandosi sulle tentazioni nelle quali può incappare un prete durante il suo ministero. A ispirare parte della riflessione del predicatore pontificio sono state le sette Lettere alle comunità cristiane contenute nel Libro dell’Apocalisse. In quella alla Chiesa di Smirne, ha detto, spicca fra l’altro l’appello alla fedeltà dei sacerdoti. E osservando come il termine “fedeltà” possa essere inteso nel duplice ordine di significato di “costanza, perseveranza”, ma anche di “lealtà, onestà e correttezza” – ovvero le qualità specifiche di un sacerdote – padre Cantalamessa ha osservato: 

“A questa fedeltà si oppone il tradimento della fiducia della Chiesa e di Cristo, la doppia vita, il venir meno ai doveri del proprio stato, soprattutto per quanto riguarda il celibato e la castità. Sappiamo per dolorosa esperienza quanto danno può venire alla Chiesa e alle anime da questo tipo d’infedeltà. E’ la prova forse più dura che la Chiesa sta attraversando in questo momento”. 

In quella a Smirne come nelle altre sei Lettere, ha spiegato padre Cantalamessa, vibra sotto sfumature diverse un unico appello alla conversione. In quella ai cristiani di Laodicea, Cristo è duro soprattutto con i tiepidi verso la fede. Ed è, ha commentato il predicatore francescano, “proprio la tiepidezza di una parte del clero, la mancanza di zelo e l’inerzia apostolica” a “indebolire la Chiesa più ancora degli scandali occasionali di alcuni sacerdoti”:



“Non si deve generalizzare, per carità: la Chiesa di oggi è ricca di sacerdoti santi che compiono silenziosamente il loro dovere. In linea generale, chi conosce un po’ la storia della Chiesa sa che il livello del clero di oggi è molto migliore di quello di altre epoche della Chiesa. Un laico impegnato mi diceva con tristezza: ‘La popolazione del nostro Paese, negli ultimi 20 anni è cresciuta di oltre tre milioni di abitanti, ma noi cattolici siamo fermi al numero di prima. Qualcosa non va nella nostra Chiesa’. Conoscendo quel clero per aver predicato, sapevo che qualcosa non andava: la preoccupazione di molti di loro non erano le anime, ma i soldi e le comodità”. 

A sostegno di questa disamina senza giri di parole – che ha delineato per contrasto la sobrietà di gesti e parole che deve essere propria di un sacerdote – padre Cantalamessa ha portato l’esempio di Santa Teresa d’Avila che, nei suoi scritti, confessa di aver cercato di coniugare forzatamente per un certo tempo le cose di Dio con quelle del mondo, condannandosi in sostanza all’infelicità. Scriveva la grande mistica:



“‘Cadevo e mi rialzavo, ma mi rialzavo così male che tornavo a cadere (...) Posso dire che la mia vita era delle più penose che si possano immaginare, perché non godevo di Dio né mi sentivo contenta del mondo. Quando ero nei passatempi mondani il pensiero di quello che dovevo a Dio me li faceva trascorrere con pena e quando ero con Dio mi venivano a disturbare gli effetti del mondo’. Molti sacerdoti penso potrebbero scoprire in quest’analisi il motivo profondo della propria insoddisfazione e scontentezza”.



E proseguendo con la meditazione sulle altre possibili cause di crisi di una vocazione – dalla tentazione del denaro all’indifferenza verso le anime, barattata con la preferenza per le comodità – padre Cantalamessa ha riconosciuto alle aggregazioni ecclesiali di laici quelle capacità di zelo che talvolta difettano ai sacerdoti. Dobbiamo essere, ha esclamato, “modelli del gregge” e non i “padroni della fede”; poveri come lo fu il Santo Curato d’Ars; capaci di farsi scomodare dalle esigenze dell’apostolato non cedendo alla tentazione, ha insistito, di tenere Cristo “in libertà vigilata”: preghiera sì, “ma che non comprometta il riposo”, obbedienza a Dio che però “non abusi della disponibilità” del prete, castità che però non imponga la rinuncia “ad avere un’idea di ciò che succede nel mondo”. E rovesciando la frase di Cristo “io sto alla porta e busso”, ha soggiunto: 

“In noi sacerdoti Cristo non bussa per entrare, ma per uscire. Nel Battesimo abbiamo ricevuto lo Spirito di Cristo, ma può succedere che questo Spirito finisca per essere come imprigionato e murato dal cuore di pietra che gli si forma intorno, non ha la possibilità di espandersi e permeare di sé le facoltà, le azioni, i sentimenti della persona. Quando leggiamo la frase di Cristo: 'Io sto alla porta e busso', dovremmo perciò capire che Egli non bussa dall’esterno, per entrare, ma bussa dall’interno per uscire”.

 

La meditazione, introdotta dalla citazione del lamento di Geremia, che disilluso del suo sacerdozio sceglie inizialmente di voltare le spalle a Dio, è stata conclusa da padre Cantalamessa con le parole che lo stesso Geremia scopre dentro di sé quando comprende che Dio non lo abbandonerà se lui sarà capace di convertirsi. E’ di questa consapevolezza, di questa solidità di fede, ha concluso il predicatore francescano, che il Papa e la Chiesa hanno bisogno in questa delicata e sofferta fase:



“Quello che occorre, in questo momento, è un sussulto di speranza (...) Cristo soffre più di noi per l’umiliazione dei suoi sacerdoti e l’afflizione della sua Chiesa. Se lo permette, è perché conosce il bene che da essa può scaturire in vista di una maggiore purezza della Chiesa (…) L’invito di Cristo ‘Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò’ sappiamo che era rivolto in primo luogo ai discepoli, agli Apostoli che aveva intorno, e dunque oggi a noi sacerdoti. A noi dice: ‘Venite a me, a me, non a voi stessi, alle vostre risorse. Venite a me e troverete ristoro’”.








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