Padre Cantalamessa: le sofferenze di questo momento porteranno a una più grande purezza
della Chiesa
"Cristo soffre più di noi per l’umiliazione dei suoi sacerdoti e l’afflizione della
sua Chiesa. Se lo permette, è perché conosce il bene che da essa può scaturire in
vista di una maggiore purezza della Chiesa". Con queste parole, il predicatore pontificio,
padre Raniero Cantalamessa, ha concluso questa mattina in Vaticano, alla presenza
del Papa e della Curia Romana, la sua terza e ultima meditazione quaresimale, incentrata
sulle tentazioni che possono mettere in crisi il sacerdozio. Il servizio di Alessandro
De Carolis:
All’interno
della Chiesa, come gli ultimi eventi dolorosamente stanno mostrando, c’è “necessità
di una purificazione” a “partire dal clero”. Con la consueta schiettezza, accompagnata
da toni di appassionata difesa della vocazione sacerdotale, padre Cantalamessa ha
terminato il ciclo di meditazioni quaresimali di quest’anno, soffermandosi sulle tentazioni
nelle quali può incappare un prete durante il suo ministero. A ispirare parte della
riflessione del predicatore pontificio sono state le sette Lettere alle comunità cristiane
contenute nel Libro dell’Apocalisse. In quella alla Chiesa di Smirne, ha detto, spicca
fra l’altro l’appello alla fedeltà dei sacerdoti. E osservando come il termine “fedeltà”
possa essere inteso nel duplice ordine di significato di “costanza, perseveranza”,
ma anche di “lealtà, onestà e correttezza” – ovvero le qualità specifiche di un sacerdote
– padre Cantalamessa ha osservato:
“A questa fedeltà si oppone il tradimento
della fiducia della Chiesa e di Cristo, la doppia vita, il venir meno ai doveri del
proprio stato, soprattutto per quanto riguarda il celibato e la castità. Sappiamo
per dolorosa esperienza quanto danno può venire alla Chiesa e alle anime da questo
tipo d’infedeltà. E’ la prova forse più dura che la Chiesa sta attraversando in questo
momento”.
In quella a Smirne come nelle altre sei Lettere, ha spiegato
padre Cantalamessa, vibra sotto sfumature diverse un unico appello alla conversione.
In quella ai cristiani di Laodicea, Cristo è duro soprattutto con i tiepidi verso
la fede. Ed è, ha commentato il predicatore francescano, “proprio la tiepidezza di
una parte del clero, la mancanza di zelo e l’inerzia apostolica” a “indebolire la
Chiesa più ancora degli scandali occasionali di alcuni sacerdoti”:
“Non
si deve generalizzare, per carità: la Chiesa di oggi è ricca di sacerdoti santi che
compiono silenziosamente il loro dovere. In linea generale, chi conosce un po’ la
storia della Chiesa sa che il livello del clero di oggi è molto migliore di quello
di altre epoche della Chiesa. Un laico impegnato mi diceva con tristezza: ‘La popolazione
del nostro Paese, negli ultimi 20 anni è cresciuta di oltre tre milioni di abitanti,
ma noi cattolici siamo fermi al numero di prima. Qualcosa non va nella nostra Chiesa’.
Conoscendo quel clero per aver predicato, sapevo che qualcosa non andava: la preoccupazione
di molti di loro non erano le anime, ma i soldi e le comodità”.
A sostegno
di questa disamina senza giri di parole – che ha delineato per contrasto la sobrietà
di gesti e parole che deve essere propria di un sacerdote – padre Cantalamessa ha
portato l’esempio di Santa Teresa d’Avila che, nei suoi scritti, confessa di aver
cercato di coniugare forzatamente per un certo tempo le cose di Dio con quelle del
mondo, condannandosi in sostanza all’infelicità. Scriveva la grande mistica:
“‘Cadevo
e mi rialzavo, ma mi rialzavo così male che tornavo a cadere (...) Posso dire che
la mia vita era delle più penose che si possano immaginare, perché non godevo di Dio
né mi sentivo contenta del mondo. Quando ero nei passatempi mondani il pensiero di
quello che dovevo a Dio me li faceva trascorrere con pena e quando ero con Dio mi
venivano a disturbare gli effetti del mondo’. Molti sacerdoti penso potrebbero scoprire
in quest’analisi il motivo profondo della propria insoddisfazione e scontentezza”.
E proseguendo con la meditazione sulle altre possibili
cause di crisi di una vocazione – dalla tentazione del denaro all’indifferenza verso
le anime, barattata con la preferenza per le comodità – padre Cantalamessa ha riconosciuto
alle aggregazioni ecclesiali di laici quelle capacità di zelo che talvolta difettano
ai sacerdoti. Dobbiamo essere, ha esclamato, “modelli del gregge” e non i “padroni
della fede”; poveri come lo fu il Santo Curato d’Ars; capaci di farsi scomodare dalle
esigenze dell’apostolato non cedendo alla tentazione, ha insistito, di tenere Cristo
“in libertà vigilata”: preghiera sì, “ma che non comprometta il riposo”, obbedienza
a Dio che però “non abusi della disponibilità” del prete, castità che però non imponga
la rinuncia “ad avere un’idea di ciò che succede nel mondo”. E rovesciando la frase
di Cristo “io sto alla porta e busso”, ha soggiunto:
“In noi sacerdoti
Cristo non bussa per entrare, ma per uscire. Nel Battesimo abbiamo ricevuto lo Spirito
di Cristo, ma può succedere che questo Spirito finisca per essere come imprigionato
e murato dal cuore di pietra che gli si forma intorno, non ha la possibilità di espandersi
e permeare di sé le facoltà, le azioni, i sentimenti della persona. Quando leggiamo
la frase di Cristo: 'Io sto alla porta e busso', dovremmo perciò capire che Egli non
bussa dall’esterno, per entrare, ma bussa dall’interno per uscire”.
La
meditazione, introdotta dalla citazione del lamento di Geremia, che disilluso del
suo sacerdozio sceglie inizialmente di voltare le spalle a Dio, è stata conclusa da
padre Cantalamessa con le parole che lo stesso Geremia scopre dentro di sé quando
comprende che Dio non lo abbandonerà se lui sarà capace di convertirsi. E’ di questa
consapevolezza, di questa solidità di fede, ha concluso il predicatore francescano,
che il Papa e la Chiesa hanno bisogno in questa delicata e sofferta fase:
“Quello
che occorre, in questo momento, è un sussulto di speranza (...) Cristo soffre più
di noi per l’umiliazione dei suoi sacerdoti e l’afflizione della sua Chiesa. Se lo
permette, è perché conosce il bene che da essa può scaturire in vista di una maggiore
purezza della Chiesa (…) L’invito di Cristo ‘Venite a me voi tutti che siete affaticati
e oppressi e io vi ristorerò’ sappiamo che era rivolto in primo luogo ai discepoli,
agli Apostoli che aveva intorno, e dunque oggi a noi sacerdoti. A noi dice: ‘Venite
a me, a me, non a voi stessi, alle vostre risorse. Venite a me e troverete ristoro’”.