Mons. Betori sull'attacco al Papa: evidente manipolazione dei fatti per separare
il popolo di Dio dai pastori
Si moltiplicano da più parti gli attestati di solidarietà a Benedetto XVI dopo gli
articoli del “New York Times” che cercano di coinvolgere il Papa nello scandalo degli
abusi sessuali da parte di membri del clero. Un tentativo che viene respinto, dati
alla mano, da testate cattoliche e non. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Colpire
il Papa ad ogni costo. Anche a costo della verità. All’indomani dell’articolo del
“New York Times” sul caso del prete pedofilo nel Wisconsin, da più parti - sulla stampa
italiana e internazionale - si rileva il tentativo di strumentalizzare dolorose vicende
per attaccare la figura e il Magistero di Benedetto XVI. “Nessun insabbiamento”, titola
“L’Osservatore Romano” che denuncia “l’ignobile intento” di attaccare il Papa e i
suoi collaboratori. Peraltro, sottolinea “Avvenire”, sono gli stessi documenti pubblicati
dal quotidiano newyorkese a dimostrare che, mentre le autorità giudiziarie civili
archiviarono il caso degli abusi di Lawrence Murphy, la Congregazione per la Dottrina
della Fede portò avanti l’inchiesta. E ciò pur essendo stata informata dei fatti criminosi
oltre 20 anni dopo che questi furono perpetrati.
“Il
ritmo delle rivelazioni – scrive Pierluigi Battista sul “Corriere della Sera” – si
sta facendo troppo tambureggiante per non alimentare i sospetti di una crociata contro
una Chiesa descritta come un ricettacolo di pedofili”. Il “reiterato tentativo di
coinvolgere la stessa figura di Joseph Ratzinger”, scrive ancora Battista, “sembra
troppo corale e insistito per non ravvisare un’atmosfera di ostilità dichiarata nei
confronti dell’attuale Pontefice”. La Stampa offre, tra l’altro, un breve ritratto
dell’ex arcivescovo Weakland, “grande accusatore” di Joseph Ratzinger sulla vicenda.
Nel 2002, Weakland si è dovuto dimettere per essere stato accusato di violenza sessuale
da uno studente di teologia.
Il “Catholic News Service”
osserva che il “New York Times” ignora il fatto che, “proprio per volontà del cardinale
Ratzinger sono state stabilite nel 2002 nuove procedure per affrontare gli abusi da
parte di sacerdoti, incluse misure per ridurli più facilmente allo stato laicale”.
Non si può dunque criticare qualcuno per non aver applicato, nel 1998, anno in cui
Lawrence Murphy è morto, delle misure approvate nel 2002. Sul “Telegraph”, Damian
Thompson esprime forti riserve sulle conclusioni a cui arriva il “New York Times”
e rileva “il tentativo disperato” dei nemici del Papa di coinvolgerlo nel caso degli
abusi pedofili. Già qualche giorno fa, il vaticanista americano John Allen, ricordava
alla Cnn che Benedetto XVI ha adottato una “politica di tolleranza zero” nei confronti
della pedofilia, incontrando le vittime degli abusi ed esprimendo il proprio dolore
e rammarico. Tutto sempre in prima persona.
Una campagna
mediatica vergognosa contro il Papa: è quanto denunciato in queste ore dalle Chiese
locali di tutto il mondo ma anche da personalità della cultura e della politica di
varia estrazione. Tra gli ultimi interventi quello dei vescovi francesi che, riuniti
in plenaria a Lourdes, parlano di "attacchi sleali e indegni" che sfruttano gli "atti
abominevoli perpetrati da un piccolo numero di sacerdoti". Ascoltiamo il commento
di mons. Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, al microfono di Sergio
Centofanti:
R. – Direi,
innanzitutto, che siamo di fronte ad un’evidente manipolazione dei dati. Basta rileggere
il modo con cui Avvenire ha ricostruito proprio quest’oggi le accuse che vengono portate
dal New York Times, per capire come i fatti possano essere ricostruiti in maniera
diametralmente opposta alle accuse, che vengono fatte al Santo Padre. Io qui posso
portare quella che è la mia diretta esperienza di arcivescovo di una diocesi d’Italia
che si è trovata a doversi confrontare con questo tipo di problematiche e che ha sempre
trovato nella Congregazione per la Dottrina della Fede la massima attenzione e direi
la massima severità di fronte al fenomeno. Non s’insabbiano queste cose nella Congregazione
per la Dottrina della Fede, né al tempo in cui la responsabilità era dell’allora cardinale
Ratzinger e dell’allora segretario Bertone, né ora che Joseph Ratzinger è il nostro
Santo Padre Benedetto XVI e altri suoi collaboratori sono preposti a questo compito.
Questo posso testimoniarlo. Lo stesso atteggiamento nel cosiddetto caso Cantini, che
ha adottato l’arcidiocesi di Firenze, dimostra come neanche il vincolo della prescrizione
abbia fermato la Santa Sede dal prendere posizione e dall’emettere una sentenza su
questo caso molto, molto grave. Potendo contare su prove concrete, il caso è stato
portato avanti fino ad arrivare ad una sentenza, che è stata una sentenza assai pesante.
D.
– In Africa ed Asia, i cristiani vengono crocifissi, bruciati, rapiti e uccisi. In
Occidente alcune lobby scelgono la strada volterriana del “calunniate, calunniate,
qualcosa resterà”…
R. – Sono due fenomeni tra loro
collegati, nel senso che ciò che è in gioco è la libertà della Chiesa. Però sono anche
due fenomeni diversi tra di loro, perché l’uno, quello che vede la sofferenza di tanti
nostri fratelli toccati nella loro stessa vita, attiene alla libertà del culto e alla
possibilità della Chiesa di sussistere all’interno di una società. Qui, invece mi
sembra che il mondo occidentale contesti alla Chiesa di essere un soggetto che abbia
un ruolo all’interno della società. Quello che dà fastidio, mi sembra, è che la Chiesa
sia un soggetto, come agenzia educativa, riconosciuto dalla gente per la sua autorevolezza,
e questo dà fastidio a chi vorrebbe invece spadroneggiare in queste nostre società
occidentali, senza alcuna remora e alcun riferimento etico. E’ importante secondo
me non cedere alla strategia di chi vuole staccare il popolo dai pastori, perché il
tentativo è chiaramente questo.
D. – Già nella celebre
Via Crucis del 2005, l’allora cardinale Ratzinger parlava della sporcizia nella Chiesa.
Una delle frasi più dure di Gesù, “una macina appesa al collo”, è proprio contro chi
scandalizza i più piccoli. Come affrontare questo momento di grande sofferenza per
la Chiesa?
R. – Innanzitutto ci vuole il realismo
di cui appunto è testimone il Santo Padre, il realismo del riconoscimento che c’è
un problema, che non è un problema della Chiesa, ma è un problema dell’educazione
e tocca tutte le agenzie educative, quindi anche la Chiesa. E basterebbe un solo caso
nella Chiesa per allarmare la Chiesa al massimo grado e di questo dobbiamo essere
consapevoli. Dobbiamo, però, sfuggire a quell’enfatizzazione che i mass media vogliono
dare al fenomeno, attribuendolo soltanto alla Chiesa e quindi con un chiaro atteggiamento
anticattolico. Occorre, perciò, una grande presa di coscienza, che significa anche
un impegno al discernimento nel momento formativo, quindi una grande opera di discernimento
delle vocazioni.
L’Osservatore Romano ha pubblicato la traduzione in italiano
della lettera del 18 maggio 2001, indirizzata dalla Congregazione per la Dottrina
della Fede a tutta la gerarchia cattolica. Si tratta delle "linee guida" relative
alle norme sui delitti più gravi decise da Giovanni Paolo II. Sentiamo Roberto Piermarini: