Mons. Tomasi: in aumento le violenze contro le minoranze religiose, i cristiani i
più colpiti
La tutela del diritto alla libertà religiosa è particolarmente importante in quanto
“i valori religiosi sono un ponte per tutti i diritti umani”. Ma questo diritto è
oggi ripetutamente oltraggiato da pregiudizi, discriminazioni e violenza. E’ quanto
ha affermato ieri l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della
Santa Sede presso l’ufficio dell’Onu di Ginevra, in occasione della 13.ma Sessione
del Consiglio dei diritti umani nella città elvetica. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Aumentano
i casi in cui la religione viene ridicolizzata e si assiste ad una sempre più grave
“mancanza di rispetto per personalità e simboli religiosi”. Sono in aumento anche
i casi di “discriminazione e di uccisioni” di fedeli di minoranze religiose. A questo
– fa notare l’arcivescovo Silvano Tomasi - si aggiunge nell’opinione pubblica una
diffusa considerazione negativa della religione, ritenuta “dannosa” per la coesistenza
pacifica. Si tratta di fenomeni che sollevano “questioni politiche e giuridiche” sull’attuazione
dei diritti umani e, in particolare, per la tutela del “diritto alla libertà religiosa”.
Dal momento che i sistemi di fede sono diversi e anche in contrasto tra loro,
la motivazione del loro rispetto dovrà provenire da un “fondamento universale che
è la persona umana”. Una legislazione pertinente – osserva mons. Tomasi
- dovrebbe realizzare il bene comune e dovrebbe essere basata su valori, principi
e norme che riflettono la “natura dell'uomo” e fanno parte “della coscienza della
famiglia umana”, pur tenendo conto delle “implicazioni della libertà di espressione
e di religione”. Il rispetto del diritto di tutti alla libertà religiosa – sottolinea
il presule - non richiede la “completa secolarizzazione della sfera pubblica o l'abbandono
di tutte le tradizioni culturali”. Un quadro normativo che tuteli “il bene comune
e l'uguaglianza dei cittadini in una società sempre più pluralistica” implica che
i sistemi legislativi applicabili ai credenti non debbano essere imposti “ai fedeli
di altre religioni e ai non credenti”. In caso contrario - afferma mons. Silvano Tomasi
- i diritti umani e il diritto alla libertà religiosa possono diventare uno strumento
politico per la discriminazione, piuttosto che uno strumento etico nelle relazioni
interpersonali. Uno Stato non può diventare l’arbitro dell’ortodossia religiosa, decidendo
su questioni teologiche o dottrinali. Sarebbe la “negazione del diritto alla libertà
di religione”. Misure contro atteggiamenti offensivi verso la religione basate su
discrezione dello Stato per l'introduzione di un concetto vago di “diffamazione” nel
sistema dei diritti umani, “non supportano una soluzione efficace e soddisfacente”.
C’è il rischio reale – spiega il presule - che l’ulteriore interpretazione di ciò
che comporta la diffamazione possa condizionare l'atteggiamento verso la religione
o le convinzioni personali, spesso “a tragico discapito delle minoranze”. Questo è
purtroppo il caso di quei Stati che non fanno “distinzione tra materia civile e religiosa”.
Stati che si identificano con una fede particolare, interpretano la diffamazione in
base alle convinzioni della religione o le convinzioni cui aderiscono. Inevitabilmente
vengono discriminati i cittadini che non condividono le stesse convinzioni. La Santa
Sede – conclude mons. Tomasi - esorta gli Stati ad un nuovo impegno per il dialogo
e la riaffermazione del diritto all'appartenenza ad una comunità di fede.Tale
scelta, come espressione di personali diritti fondamentali della persona umana, “deve
sempre essere esercitata nel contesto del bene comune”.
In
diversi Paesi le minoranze religiose sono vittime di attacchi drammatici come in Pakistan,
dove un cristiano è stato bruciato vivo perché si è rifiutato di convertirsi all'islam.
Come si difende la libertà religiosa? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto all'arcivescovo
Silvano Tomasi:
R.
– La comunità internazionale deve assumersene una responsabilità, in qualche modo,
nel trattare anche tale questione in maniera sistematica. Tra l’affermazione dei grandi
principi che sono enunciati, per esempio nella dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo, e la pratica quotidiana in molti Paesi c’è di mezzo un grande vuoto. Dobbiamo
rinnovare la volontà politica di poter proteggere i diritti di tutti i cittadini e
questo lo si fa attraverso l’educazione in modo che, ad esempio, nelle scuole non
ci siano dei manuali o dei testi che sostengono posizioni fondamentaliste o incitino
all’odio di altre religioni diverse dalla propria. Lo si fa attraverso non solo l’educazione
pubblica ma anche attraverso i mezzi di comunicazione, creando un senso di accettazione
reciproca finalizzato ad avere lo spazio pubblico sereno per cercare insieme la verità.
D.
– Nel suo intervento ha anche affermato che uno Stato non può diventare l’arbitro
dell’ortodossia religiosa introducendo leggi sulla diffamazione che poi, in realtà,
possono diventare discriminatorie…
R. – C’è una forte
divisione, soprattutto tra i Paesi occidentali e i Paesi in cui c’è una maggioranza
islamica. Nel mondo occidentale l’accento viene messo sulla persona come fonte di
diritto, mentre nel mondo mediorientale c’è una cultura che dà un certo peso alla
comunità. In questo caso, però, si rischia di discriminare le minoranze, perché se
il gruppo dominante ha diritti per difendere le proprie posizioni ideologiche o religiose,
le minoranze vengono discriminate, messe in una posizione di sottomissione. Dobbiamo
perciò riaffermare il diritto della persona alla sua libertà religiosa e, allo stesso
tempo, tener presente che le persone sono naturalmente aperte a relazionarsi con gli
altri e quindi anche a creare comunità. Certo, i più discriminati in questo momento
sono i cristiani. Non è solo questione di caricature o di articoli diffamatori, ma
si tratta di vita e morte.
D. – In Occidente si assiste
ad un altro allarmante fenomeno: la ridicolizzazione della religione…
R.
– La religione viene vista come un qualcosa di sorpassato, un blocco allo sviluppo
e al progresso scientifico. Ci sono ancora molti funzionari pubblici – a volte anche
nell’Unione Europea – e gruppi o correnti di pensiero che vedono nella religione un
ostacolo alla modernità. Quest’atteggiamento porta poi a discriminare la maggioranza
della popolazione che è credente. Mi pare che la cultura pubblica occidentale che
ridicolizza la religione non faccia un servizio a se stessa ma crei dei problemi per
il suo futuro.