La bellezza del sacerdozio in un tempo di sofferenza: sulla lettera del Papa ai fedeli
irlandesi, i commenti di mons. Semeraro e del prof. Andreoli
In questo periodo forte della Quaresima, la Lettera di Benedetto XVI ai fedeli d’Irlanda
sullo scandalo degli abusi sessuali suscita profonde riflessioni nella Chiesa, ben
al di là dei confini irlandesi. Un documento definito, da più parti, senza precedenti
che invita tutti ad un cammino di rinnovamento. Sullo stile e il contenuto della Lettera
del Papa, Federico Piana ha intervistatoil vescovo di Albano, mons.
Marcello Semeraro:
R. – Sono
parole molto gravi e molto ponderate, quelle che il Santo Padre ha usato nella sua
Lettera, e credo che esprimano e lascino anche a noi la possibilità di entrare nel
suo animo. Vorrei ricordare il titolo della sua recente Lettera enciclica, Caritas
in veritate: credo che a questo tema così doloroso il Papa si avvicini e si sia
avvicinato esattamente con la carità e nella verità. Nella verità, perché egli considera
la gravità della situazione e non si tira indietro nel tentare, nel fare, nel proporre
un’analisi delle cause che hanno potuto - a breve e a lungo termine - indurre questa
situazione così dolorosa. E dall’altra parte, il Papa con somma carità esprime il
proposito che tutti noi dobbiamo accogliere quando propone un cammino e lo sintetizza
in questi tre momenti: la guarigione, il rinnovamento e la riparazione.
D.
– C’è un passo molto significativo della Lettera, che al punto 4 afferma: “Negli ultimi
decenni, tuttavia, la Chiesa nel vostro Paese ha dovuto confrontarsi con nuove e gravi
sfide scaturite dalla rapida trasformazione e secolarizzazione della società irlandese”...
R.
– Il Papa, certo, fa riferimento ai processi di rapida trasformazione, alla secolarizzazione
e quindi anche alla caduta di alcuni pilastri fondamentali che sono il riferimento
ai Sacramenti – sia al Sacramento della Penitenza, sia a quello dell’Eucaristia. Però,
assieme a questa visione un po’ generale sulla caduta della vita cristiana, il Papa
indica un’altra serie di cause, che tocca più direttamente chi ha la responsabilità
della guida pastorale nella comunità cristiana. Anzitutto, sulle procedure inadeguate
per determinare l’idoneità dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa: questo
è un punto fondamentale, valido ovviamente non soltanto in Irlanda ma anche da noi
e dappertutto.
D. – Mons. Semeraro, come si fa a
distinguere? Sembra non esserci possibilità a causa di qualche "maglia larga" che
purtroppo esiste…
R. – Nella formazione dei futuri
sacerdoti vanno evitare scorciatoie, e bisogna rispettare i tempi. Il seminario significa
convivenza: convivenza di giovani, futuri presbiteri, insieme con i loro educatori,
con i sacerdoti, con i professori. E la convivenza prolungata per molto tempo non
può non aprire gli occhi sulle realtà da promuovere e su quelle da correggere o quelle
sulle quali intervenire. In terzo luogo, chiamati al discernimento dei futuri sacerdoti
non sono soltanto gli educatori del seminario, ma occorre anche una partecipazione
all’interno delle comunità parrocchiali da cui vengono. Occorre veramente un discernimento
oculato.
Sulla Lettera del Papa e il ruolo dei sacerdoti
nella società di oggi, Alessandro Gisotti ha intervistato lo psichiatra Vittorino
Andreoli, autore del libro “Preti. Viaggio fra gli uomini del sacro”:
R. – A me
pare che i due punti fondamentali siano stati la condanna del peccato e l’amore per
il peccatore. Perché, vede, dal mio punto di vista – io sono psichiatra – io penso
alle vittime e al dolore delle vittime e quindi alla condanna di questo comportamento.
Tuttavia, non posso dimenticare che la pedofilia è considerata dall’Organizzazione
mondiale della sanità una malattia. Allora, se è così, bisogna anche pensare di curare
le persone che sono cadute, responsabilmente e quindi, certamente con tutto l’iter
della giustizia, e che sono comunque dei malati.
D.
– Lei ha scritto un libro sui sacerdoti di oggi: quanto i laici, i fedeli comuni,
possono aiutare i propri parroci a superare un momento di difficoltà nella propria
vita?
R. – Bisogna dire che il prete è un personaggio
della nostra società, è una figura che dedica la propria vita ad una missione che
sembra folle, rispetto agli andamenti di questa società tesa al successo, tesa al
denaro… Ci possono essere dei disturbi, delle malattie, delle difficoltà per poter
realizzare questa missione. E io credo sia necessario proprio stabilire una relazione
con il proprio sacerdote: queste figure del sacro devono anche essere aiutate - c'è
il problema della solitudine, il problema talvolta della depressione - e dunque a
me pare che l’aiuto debba essere in qualche modo reciproco.
D.
– La stragrande maggioranza dei casi di pedofilia, sappiamo, avvengono in famiglia.
Eppure, c’è chi in questi giorni si è arrischiato ad associare quasi automaticamente
celibato sacerdotale e pedofilia, come se il problema fosse il celibato…
R.
– Questo non c’entra assolutamente nulla! Se lei pensa che la pedofilia è in gran
parte legata a persone che sono sposate e che quindi, addirittura, hanno una vita
sessuale con una moglie, è quindi da considerare una cosa staccata, è proprio una
patologia. E voler legare i due fenomeni significa non aver capito da una parte il
disturbo pedofilico, e dall’altra non aver dato il senso straordinario che invece
ha il concetto di castità che è, appunto, una modalità per darsi a tutti e non legarsi
ad una persona singolarmente. Insomma, il rinunciare alla vita sessuale, ad avere
una famiglia vuol dire essere disposti ad essere padri di tutti.