Domani nei cinema in Italia il film di Jacques Audiard "Il profeta"
“Guardare al reale per insegnare a vivere”: con questa dichiarazione Jacques Audiard
ha diretto un film straordinariamente asciutto e intenso sull’ascesa al potere di
un giovane arabo in un carcere francese. Il profeta, titolo metaforico come lo è il
luogo nel quale tutto accade e si trasforma, ha vinto lo scorso anno il Gran Premio
della Giuria a Cannes e recentemente nove César francesi. Un’opera originale e molto
personale, nella sua epica e cruda narrazione di uomini senza morale, senza amore,
senza pietà. Il servizio di Luca Pellegrini:
Non è di
statura biblica né epica il profeta dell’intenso film di Jacques Audiard: Malik è
soltanto un arabo-francese diciannovenne semianalfabeta che precipita nell’universo
violento e durissimo di un carcere francese e che guarda oltre, oltre il presente,
il reale, oltre il sangue, il sopruso, il delitto, il malaffare che si concretizzano
in ogni angolo e in ogni forma. Malik, senza radici e senza passato, impara a sopravvivere
e vivere proprio lì, in un carcere difficile dove tutti sono corrotti e corruttibili,
per darsi una parvenza di statura umana, per lambire un futuro possibile, per diventare
un uomo. Buono, cattivo, non gli interessa. Lui è una mente che si adatta e adattandosi
si trasforma, prevedendo le mosse altrui e acquisendo nuovi livelli di potere. Diretto
con accuratezza psicologica e grande virtuosismo cinematografico, ecco dunque il profeta
che si piega agli ordini ricevuti, silenzioso e acuto osservatore, per diventare un
domani chi gli ordini lì darà. Non è un film carcerario, ma è soltanto ambientato
in un carcere con qualche veloce digressione criminale nel corso di libere e pericolose
uscite; non è un film che moraleggia sulla colpa e la grazia, la condanna e il perdono.
Con un piglio tra il puro noir e il documentario psicologico, scandaglia soltanto
i rapporti umani, che sono rapporti di forza, evitando archetipi, stereotipi e facili
approssimazioni. Qui risiede tutta la forza di un cinema che descrive uno spaccato
di vita tragica, fa riflettere su quanto accade ogni giorno e presagire quanto siano
difficili le soluzioni che, nella certezza dovuta della pena, non siano capaci di
educare la personalità, ricostruirla, prepararla a un sano reinserimento sociale.
Tutto si fonde e si trasforma nel carcere di Malik: orgoglio dell’appartenenza
razziale e ideologica, lotta per la sopravvivenza e la supremazia. Spiazza, la regia
di Audiard, perché non è mai prevedibile, anche nella sua crudezza, nella descrizione
dell’istinto e del ragionamento, quando indaga sugli umani e i loro corpi, sulle menti
e le loro dinamiche. Attori straordinari sono Niels Arestrup, il boss del clan dei
corsi di cui seguiamo ascesa e caduta, e Tahar Rahim, perfettamente immedesimatosi
nel piccolo delinquente Malik che pian piano, crescendo e a suon di profezie, diventerà
un grande delinquente. Pronto per essere invincibile, profeta, appunto, di un mondo
violento e spaventoso. Pronto per venire sicuramente vinto anche lui, se la coscienza
non gli parlerà prima della probabile fine.