Pakistan: 5 morti in un attacco a un’Ong cristiana
Grave attacco oggi in Pakistan ai danni di una organizzazione umanitaria cristiana.
Cinque collaboratori pakistani della World Vision, con sede principale negli Stati
Uniti, hanno perso la vita in un attacco dinamitardo nel distretto di Mansehra, nel
nord del Paese, zona dove dall’anno scorso, in seguito all’offensiva dell’esercito
di Islamabad, si sono rifugiati gruppi di ribelli talebani. Il servizio di Giancarlo
La Vella:
Il gruppo
attentatore sarebbe formato da una quindicina di uomini armati, che, dopo l’attacco
alla sede della “World Vision”, si è dileguato tra le montagne circostanti. Un episodio
dolorosamente sorprendente per chi da anni spende energie per la popolazione locale,
colpita nel 2005 da un devastante terremoto, che causò quasi 80 mila morti, ed ora
alle prese con le difficoltà di convivere con i continui scontri armati tra ribelli
ed esercito di Islamabad. Sentiamo Giovanna Reda, responsabile
di “World Vision Italia Onlus”:
“Noi siamo in Pakistan
dal 1992, con un rapporto ottimo con la popolazione locale, tanto che il 99 per cento
dei nostri uffici in Pakistan è formata da popolazione locale. Comunque, facciamo
molta fatica a credere che la popolazione locale abbia potuto organizzare un attacco
del genere. Quindi, pensiamo a qualcosa che sia intervenuto dal di fuori. Pur essendo
un’organizzazione cristiana, abbiamo sempre applicato nei nostri interventi, soprattutto
in contesti che non sono cristiani come il Pakistan, principi molto forti di non-discriminazione
in base al genere, alla razza, all’etnia o alla religione. I rapporti con le popolazioni
locali musulmane sono sempre stati ottimi, soprattutto riguardo anche all’incoraggiamento
da parte nostra del dialogo interreligioso. Tutti i nostri progetti partono da un
attento esame dei bisogni della popolazione locale e vengono sempre fatti e portati
avanti in stretta collaborazione e coordinamento con la popolazione locale, e questo
per evitare qualsiasi possibile conflitto”.
L’episodio
avvenuto in nord Pakistan è solo l’ultimo di tanti altri avvenuti in Paesi dove il
cristiano è diventato sinonimo di straniero, diverso, da combattere e da eliminare.
Ne parliamo con Camille Eid, editorialista di Avvenire:
R.
– Agli occhi degli attentatori, ovviamente, vengono assimilati alla cristianità in
generale, e quindi dicono: ‘I cristiani attaccano i nostri fratelli di fede, e quindi
noi abbiamo il diritto di attaccare loro’. Comunque, in Pakistan c’è anche la giurisdizione
locale che discrimina i cristiani e quindi – direttamente o indirettamente – favorisce
questi gruppi fondamentalisti. La legge sulla blasfemia, per esempio, che prende di
mira non solamente i cristiani ma tutte le altre minoranze, oppure quando hanno cercato
di adeguare le istituzioni locali alla Sharìa e hanno ripristinato quindi la menzione
della fede religiosa sui passaporti, pur sapendo che in Pakistan vivono tre milioni
e mezzo di cristiani, tra cattolici e protestanti. Esiste, quindi, una comunità locale,
però viene compiuta automaticamente questa assimilazione del cristiano al cittadino
straniero.
D. – Esiste la possibilità di un dialogo?
R.
– La Chiesa cattolica gestisce alcune scuole, alcuni orfanotrofi; in queste scuole,
a volte la maggioranza degli studenti è musulmana: attraverso l’educazione, quindi,
la Chiesa cerca di innestare valori cristiani come l’amore e il perdono per cercare
di costruire dal basso una società nuova, aperta al dialogo e alla convivenza.