2010-03-07 11:16:15

Elezioni insanguinate in Iraq: decine di morti in vari attentati


Le eccezionali misure di sicurezza per impedire attentati ai seggi elettorali - aperti oggi in Iraq per il secondo voto politico del dopo Saddam - non sono bastate a evitare diversi attacchi nella capitale e nel Paese che hanno già provocato la morte di 24 persone. "Gli attentati non influenzeranno il voto", ha detto il premier uscente, Al Maliki. Ma alcuni osservatori paventano il rischio di una nuova guerra civile. Sono 19milioni gli aventi diritto al voto che dovranno scegliere tra 6.529 candidati di 86 formazioni politiche, 1.800 sono donne. Saranno 325 i seggi da assegnare nel Parlamento di Baghdad: 310 verranno da 18 provincie in modo proporzionale, altri 15 sono quelli di “compensazione” cioè 8 alle minoranze e 7 assegnati a livello nazionale. A vigilare sulla consultazione circa 300mila osservatori internazionali. Cosa rappresentano queste elezioni per l’Iraq? Al microfono di Benedetta Capelli risponde Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica all'Università Cattolica di Milano:RealAudioMP3

R. – Rappresentano molte cose e tutte significative. Anzitutto sono le prime elezioni veramente irachene: le precedenti – quelle del 2005 – avvenivano ancora in un quadro molto incerto e fortemente influenzato dalle violenze, dalla quasi guerra civile, dalle violenze di al Qaeda ed erano pesantemente controllate e gestite dalla Comunità internazionale e dagli Stati Uniti. Un’altra differenza è che si è indebolito, si è incrinato il voto settario: mentre nel 2005 i grandi partiti e le grandi alleanze elettorali riflettano l’identità etno-religiosa e, quindi, l’alleanza curda e l’alleanza sciita, oggi vi sono molte più formazioni, molte più alleanze e in tanti casi davvero trasversali e che includono sia sunniti, sia sciiti. Un altro elemento importante – ma ahimè non positivo! – è l’estrema durezza e competizione politica, con una serie di candidati squalificati e poi parzialmente riammessi, seppure ‘sub iudice’, oppure con mandati di arresto, accuse infamanti che vengono utilizzate per delegittimare i vari avversari politici.
 
D. – Lei ha parlato di partiti. Vogliamo fare una carrellata sulle formazioni che, almeno sulla carta, sono le più accreditate a vincere?
 
R. – I partiti teorici sono quasi 300, un numero immenso. Diciamo però che si sono raggruppati in una serie di alleanze elettorali. La prima è la cosiddetta lista “State of law”, lista del premier al Maliki che punta a rafforzare il ruolo del governo centrale e che presenta un cartello, anche se soprattutto sciita, trasversale e molti sono gli indipendenti. Questo è il gruppo accreditato con maggiori possibilità di successo. Vi è poi l’”Alleanza nazionale irachena” che rappresenta il resto della grande alleanza elettorale sciita e che è stata voluta dall’ayatollah al Sistani. Questa alleanza è più marcatamente sciita e più marcatamente religiosa. C’è poi l’Alleanza patriottica del Kurdistan”, che raggruppa i due gruppi curdi storici, un tempo avversari e che oggi per convenienza sono alleati. C’è poi “Irakiya”, il gruppo dell’ex primo ministro Allawi, che è su una base davvero trasversale, nazionalista e fortemente secolare e quindi contro le ingerenze religiose e contro il federalismo spinto e voluto dai curdi. Ci sono poi una serie di liste minori.
 
D. – L’appuntamento elettorale è stato legato ad episodi di violenza, ad episodi di tensione. Secondo lei, la Comunità internazionale è più preoccupati per le conseguenze di un voto che può essere e può risultare frammentato?
 
R. – La sicurezza, sì, preoccupa. Ci sono stati molti attentati, ma il quadro generale della sicurezza ha tenuto. Lo scenario non è crollato. Più pericolosa è la frammentazione: il sistema elettorale iracheno è puramente proporzionale e quindi più liste ci sono e più è difficile è che qualcuno raggiunga la maggioranza assoluta. Di fatto è visto come impossibile! Ciò renderà obbligatorio un voto di coalizione e questo significa lunghissime trattative, negoziazioni, giochi e mosse e questo può produrre un lungo periodo di incertezza. A questo la Comunità internazionale guarda con preoccupazione ed anche – ahimè – qualche Paese attorno guarda per poterne sfruttare la debolezza e magari invertire il nuovo corso iracheno.
 
D. – Cosa, secondo lei, la minoranza cristiana può attendersi da questo voto?
 
R. – Ahimè i cristiani sono – per così dire – il vaso di coccio in Iraq e come tutte le minoranze vengono usate cinicamente dai principali partiti ed i cristiani soprattutto proprio perché hanno una grande visibilità, hanno una grandissima storia. A parole tutti difendono i cristiani, nei fatti c’è però un forte sottostimare il pericolo che i cristiani di Iraq vengano sradicati dalla loro terra e che si rompa questo legame tra comunità e terra. Il rischio è quello che i cristiani diventino sempre più profughi o all’interno del Paese e quindi in ghetti o che abbandonino l’Iraq e vadano verso l’Occidente o verso altri Paesi del Medio Oriente. Da soli non ce la possono fare. E’ fondamentale un maggiore impegno ed una maggiore attenzione da parte della Comunità internazionale, ma finora in vero molto distratta. 







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