Tensione Stati Uniti-Turchia dopo la risoluzione del Congresso Usa sul "genocidio"
armeno
Tensione tra Stati Uniti e Turchia, nonostante la risoluzione non vincolante approvata
ieri dalla Commissione Esteri della Camera di Washington, che per la prima volta definisce
“genocidio” il massacro di un milione e mezzo di armeni, avvenuto nel 1915 ad opera
dei turchi. Ankara, pur facendo appello al Congresso a non approvare la risoluzione,
ha raccolto l’invito della Casa Bianca di portare avanti il dialogo con Ierevan, ma
“senza accettare – ha precisato – pressioni da alcuna parte”. L’Armenia da parte sua
ha plaudito al gesto della Commissione. Da New York, Elena Molinari:
“L’uccisione
di un milione e mezzo di armeni durante la I Guerra Mondiale fu un genocidio”: lo
ha stabilito la Commissione esteri della Camera statunitense, nonostante la ferma
opposizione della Turchia e persino quella dell’amministrazione Obama. La Risoluzione
è passata per un soffio, con 23 voti a favore e 22 contrari, e non è detto che passi
al voto dell’intera Camera. Ma ha già suscitato le ire della Turchia, che ha richiamato
immediatamente l’ambasciatore americano. Ankara aveva infatti ammonito che l’approvazione
della Risoluzione avrebbe guastato le relazioni con gli Usa, tanto che il segretario
di Stato, Hillary Clinton, aveva lanciato un appello al Congresso ad accantonare il
documento nel timore che potesse nuocere anche alla riconciliazione tra Armenia e
Turchia. La Risoluzione non è vincolante, ma chiede al presidente Obama di garantire
che la politica estera statunitense rifletta d’ora in poi sul fatto che quello compiuto
dai turchi ottomani fu un genocidio. Gli Stati Uniti hanno sempre condannato il massacro,
ma non lo hanno mai definito formalmente un genocidio, proprio per non irritare la
Turchia, un alleato indispensabile della Nato in Medio Oriente.
Iran-Italia Dissapori
tra Italia e Iran dopo gli arresti di due cittadini iraniani, nell’ambito di un’inchiesta
su un presunto traffico di armi, condotta dalla Guardia di finanza di Milano, che
ha portato in carcere anche cinque italiani. Teheran ha chiesto l’immediato rilascio
dei due fermati: Hamid Masoumi-Nejad, 51 anni, giornalista della televisione iraniana
accreditato presso la Sala stampa estera a Roma, e Ali Damirchilu, di 55 anni. L’ambasciatore
italiano in Iran, Alberto Bradanini, è stato convocato al Ministero degli esteri di
Teheran per dare chiarimenti sulla vicenda che viene considerata “una manovra politica”
ordita da Stati Uniti e Israele. Roma ha respinto con fermezza l’insinuazione.
Usa-
riforma sanità Stretta finale sulla riforma della sanità americana. Il presidente
degli Stati Uniti, Barck Obama, ha espresso l’auspicio che il Congresso dia il via
libera definitivo prima del 18 marzo. Lo hanno annunciato fonti della Casa Bianca,
ricordando che proprio in quella data, Obama partirà per un viaggio in Indonesia,
Guam e Australia.
Pakistan-violenza Nuova escalation di violenza
in Pakistan. Almeno 12 persone sono rimaste uccise e altre 30 ferite in un attentato
suicida a Tul, nel nordovest del Paese. Un kamikaze si è fatto esplodere al passaggio
di alcuni veicoli scortati dalle forze di sicurezza. Intanto, sono ore drammatiche
per la famiglia del bambino di cinque anni rapito ieri nel Punjab packistano. Il piccolo,
figlio di cittadini pakistani residenti in Gran Bretagna, è stato prelevato da uomini
armati che hanno chiesto un riscatto di 10 mila dollari.
Medio Oriente Disordini
si sono verificati tra la polizia israeliana e manifestanti palestinesi nella Spianata
delle Moschee di Gerusalemme, al termine della preghiera del venerdì. Gli agenti hanno
fatto irruzione nel complesso della moschea di al-Aqsa, dopo una fitta sassaiola,
sarebbero 5 i feriti. Altri scontri si sono registrati nel settore arabo della città
vecchia. Già una settimana fa, c’erano stati alcuni disordini; a provocare la tensione
c’è la decisione del governo israeliano di includere due luoghi santi che si trovano
in Cisgiordania nel patrimonio ebraico da tutelare. Intanto a Cordoba, oggi e domani,
si discuterà del rilancio dei colloqui di pace in Medio Oriente nel corso di una riunione
informale dei ministri degli Esteri dell'Unione Europea.
Cina L’economia
cinese continua a marciare a gonfie vele con un obiettivo di crescita del prodotto
interno lordo dell’8% nel 2010. Di questo ed altro ha parlato il premier, Wen Jiabao,
nel corso all’Assemblea nazionale del popolo, il parlamento cinese che, alla presenza
di tremila delegati, ha aperto oggi a Pechino i battenti. Il capo del governo, tuttavia,
adotta toni prudenti, respingendo ipotesi di rivalutazione dello yuan, la moneta cinese,
lanciata dalle economie occidentali. Su questi temi, Giancarlo La Vella ha
intervistato Fernando Mezzetti, esperto di Cina:
R. – Gran
parte dello sviluppo cinese è basato sul commercio estero, soprattutto sulle esportazioni,
che quest’anno sono fortemente diminuite. I cinesi allora hanno provveduto, cercando
di sviluppare i consumi interni, sia al livello individuale che nelle spese pubbliche.
Tenere in piedi, comunque, le esportazioni, tenere costante il valore dello yuan rispetto
al dollaro – cioè basso, favorendo, quindi, gli acquisti dall’estero – è fondamentale
per la Repubblica popolare.
D. – A questa situazione economica florida
corrisponde un miglioramento della situazione socioeconomica della popolazione cinese?
R.
– Con le riforme, ci fu un lungo periodo in cui per tutti c’è stato benessere. Da
tempo, invece, ci sono vincitori e vinti: si è allargato il gap tra le campagne
e la città, tra le regioni costiere e le regioni interne. Lo sviluppo economico senza
freni porta a malcontenti, ci sono le delusioni nelle aspettative crescenti nelle
campagne e soprattutto, con l’industrializzazione in atto, gran parte dei terreni
viene usata per l’industria e quindi requisita ai contadini con rimborsi generalmente
irrisori. Questo nelle campagne provoca molta tensione. La ristrutturazione economica
che si è avuta ha fatto poi sì che tanti emigrati che dalle campagne si erano trasferiti
nelle città per i lavori più umili, soprattutto nell’edilizia, sono tornati nelle
campagne e sono ora disoccupati. Quindi, c’è molta insoddisfazione che sfocia talora
in ribellioni locali, che comunque mettono in pericolo la stabilità globale, che è
l’obiettivo principale della dirigenza cinese, oggi.
Mar Baltico-imbarcazioni Ritorno
alla normalità nel Mar Baltico dove ieri, a causa del ghiaccio, almeno 50 imbarcazioni
erano rimaste bloccate. Tutti i natanti sono stati liberati, anche i traghetti con
migliaia di passeggeri a bordo. (Panoramica internazionale a cura di Benedetta
Capelli) Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 64 E'
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Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del
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