2010-03-04 15:24:01

Sud Corea: l'impegno della Chiesa per i profughi nordcoreani


I rifugiati nordcoreani nella parte Sud della penisola “sono ancora troppo lontani dall’integrazione. Inoltre, il loro numero si è moltiplicato: dai 947 del 1998 siamo arrivati a 16.513, e continuano a crescere. Nel 2010 ci aspettiamo altri 3mila esuli, e nel 2011 il numero totale supererà le 20mila unità”. Lo dice ad AsiaNews un dirigente di Hanawon (che significa “Corea unita”) l’Istituzione governativa sudcoreana che aiuta i rifugiati del Nord a integrarsi. Secondo i dati dell’organizzazione, che opera in un campo estremamente sensibile per tutta la penisola coreana, il 58,4% di coloro che chiede asilo politico si considera ancora cittadino del Nord, e soltanto il 6,3% si ritiene integrato nel nuovo Paese. Il problema deriva sia dal duro indottrinamento politico a cui tutti i nordcoreani sono sottoposti dal regime stalinista di Kim Jong-il, sia da una difficile integrazione con i più moderni, e liberi, sudcoreani. Anche la Chiesa cattolica si è occupata del problema, e all’inizio dell’anno ha tenuto un seminario di 3 giorni dal tema “Saetomin, agenti del Vangelo”. Saeteomin in coreano significa “rifugiati, coloni”, ed è il termine con cui i sudcoreani chiamano coloro che riescono a scappare dal regime di Pyongyang per stabilirsi dall’altra parte del confine. Col tempo, dato il bassissimo livello di integrazione degli esuli, è divenuto un termine dispregiativo. Per il professore cattolico Ko Kyeong-bin, che insegna all’Università di Seoul e ha concluso l’incontro, “l’agonia dei 20mila saeteomin che vivono qui ci preoccupa molto. D’altra parte, questi sono soltanto lo specchio dei 20 milioni di nordcoreani che arriveranno da noi dopo la riunificazione delle due Coree. Dobbiamo fare molta strada, prima di essere pronti ad accoglierli nel modo giusto”. (R.P.







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