Kamikaze contro le elezioni in Iraq: vittime nei seggi
Tre attentati in poche ore a Baghdad nel giorno del voto anticipato per le legislative
di domenica: una bomba è esplosa questa mattina poco lontano da un seggio, mentre
poco dopo due kamikaze si sono fatti esplodere davanti ad altri due seggi, aperti
per consentire il voto di detenuti, pazienti, dipendenti governativi e delle forze
di sicurezza. Il bilancio è di almeno 12 morti, tra cui 4 bambini. Ieri a Baquba tre
kamikaze avevano provocato oltre 30 vittime. Ma queste consultazioni possono comunque
essere interpretate come un segno di democrazia in Iraq? Al microfono di Giada
Aquilino, risponde Alessandro Colombo, docente di Relazioni internazionali
all’Università di Milano:
R. – Le elezioni
non bastano in nessun contesto per parlare di democrazia. Sono naturalmente un passaggio
imprescindibile per la transizione verso la democrazia. E’ chiaro che le elezioni
in Iraq avvengono quando lo stesso Stato iracheno deve ancora stabilizzarsi e probabilmente
anche ricostituirsi.
D. – Uno dei simboli della democrazia
è anche la sicurezza. Gli attentati, però, proseguono. Che segnale è?
R.
– Gli attentati vanno avanti, ma soprattutto prosegue quella che è la vera incognita
di queste elezioni – o, per meglio dire, del dopo elezioni – e cioè la tensione tra
le diverse etnie del Paese. Questi attentati servono a tenere viva la possibilità
del conflitto e quindi la possibilità della disgregazione che sarebbe – com’è stato
fino a qualche anno fa – non soltanto la disgregazione dello Stato ma automaticamente
anche la disgregazione di qualunque possibilità di transizione alla democrazia.
D.
– Come saranno rappresentate in questo voto le varie anime del Paese? Quindi sciiti,
sunniti, curdi; nei giorni scorsi ci sono stati attentati anche contro la minoranza
cristiana...
R. – E’ molto difficile dirlo. Nel processo
stesso di preparazione delle elezioni sono stati esclusi diversi candidati, per possibili
legami in passato con il partito Baath, durante il regime di Saddam Hussein. Queste
esclusioni hanno colpito soprattutto la parte sunnita della popolazione ed hanno aggravato
le tensioni interetniche nel Paese. Ma la cosa più pericolosa è il fatto che negli
ultimi anni la pacificazione dell’Iraq è passata attraverso la disseminazione di promesse:
tutte le parti hanno pensato di poter guadagnare qualcosa. Ora si arriva alle elezioni
e nel momento in cui ci saranno i risultati qualcuno scoprirà di non aver ricevuto
ciò che sperava. Quello sarà il momento decisivo per capire a che livello di stabilizzazione
siamo arrivati. Il problema sarà la gestione degli insoddisfatti dopo il voto. Chiaramente
ci saranno delle parti che usciranno insoddisfatte, qualcuno magari gravemente insoddisfatto
e lì vedremo se si sceglieranno delle vie pacifiche per manifestare tale insoddisfazione
oppure se si andranno a rafforzare i gruppi di insurrezione, che ancora ci sono. Non
dimentichiamoci che l’anno scorso – anche se le truppe internazionali hanno avuto
molte meno vittime che in passato – la popolazione irachena ha pagato ancora un tributo
di migliaia di morti.