Il Vangelo del povero Lazzaro e del ricco Epulone e gli insegnamenti del Papa sulla
giusta distribuzione della ricchezza
Il Vangelo della liturgia di oggi presenta la celebre parabola del Vangelo del povero
Lazzaro e del ricco Epulone, simboli della povertà che invoca aiuto e dell’egoismo
che ha occhi solo per se stesso. Il tema della giustizia e dell’equa distribuzione
delle ricchezze è stato più volte affrontato in questi anni da Benedetto XVI in moltissimi
dei suoi discorsi, e lo stesso brano del Vangelo di Lazzaro ed Epulone è stato posto
dal Papa in un passo della Deus caritas est come esempio di come solo l’amore
sia la via che redime l’uomo. Su questo argomento, Alessandro De Carolis ripropone
alcune delle affermazioni più salienti del Pontefice:
Un uomo
lacero e purulento, Lazzaro, che non ha più la forza della dignità ma solo quella
della fame, accucciato come un cane sotto la tavola di un ricco in attesa che qualche
briciola del banchetto sopra di lui gli finisca nello stomaco. E lui, Epulone, il
ricco che sazia solo la propria fame e che quando dopo la morte vede ritorcersi in
tormento la sua disinvolta mancanza di solidarietà col povero, si appella invano con
un tardivo ravvedimento che non lo salverà. “Il ricco – ha affermato il Papa in un
Angelus – impersona l’uso iniquo delle ricchezze da parte di chi le adopera per un
lusso sfrenato ed egoistico, pensando solamente a soddisfare se stesso, senza curarsi
affatto del mendicante che sta alla sua porta”. Il povero, al contrario, rappresenta
la persona di cui soltanto Dio si prende cura”: "Chi è dimenticato
da tutti, Dio non lo dimentica; chi non vale nulla agli occhi degli uomini, è prezioso
a quelli del Signore. Il racconto mostra come l’iniquità terrena venga ribaltata dalla
giustizia divina: dopo la morte, Lazzaro è accolto ‘nel seno di Abramo’, cioè nella
beatitudine eterna; mentre il ricco finisce all’inferno tra i tormenti”. (30 settembre
2007) Nella storia dell’umanità, il povero Lazzaro e il
ricco Epulone non hanno mai smesso l’uno di tendere la mano e l’altro, spesso, di
ignorarla. Oggi i milioni di Lazzaro sono coloro che sopravvivono da profughi, che
elemosinano briciole di rispetto da immigrati, sono coloro ai quali un magro stipendio
o la cassa integrazione assicurano due settimane di sussistenza su quattro al mese.
Di fronte a loro, gli Epuloni sono i sistemi finanziari per i quali la solidarietà
è una voce nella colonne “perdite”, oppure i calcoli di governi incapaci, al dunque,
di politiche solidali incisive per le società che amministrano o inerti quando si
tratta di dare concretezza di “Risultati” del Millennio a quelli che spesso continuano
a restare solo Obiettivi.“La fame – ha scandito senza
mezzi termini il Papa davanti ai membri della Fao, tre mesi e mezzo fa – è il segno
più crudele e concreto della povertà. Non è possibile continuare ad accettare opulenza
e spreco, quando il dramma della fame assume dimensioni sempre maggiori”: “Si
on vise l’élimination de la faim... Se si mira all'eliminazione della
fame l'azione internazionale è chiamata non solo a favorire la crescita economica
equilibrata e sostenibile e la stabilità politica, ma anche a ricercare nuovi parametri
- necessariamente etici e poi giuridici ed economici - in grado di ispirare l'attività
di cooperazione per costruire un rapporto paritario tra Paesi che si trovano in un
differente grado di sviluppo”. (16 novembre 2009) Del resto,
la logica del profitto e quella della equa distribuzione dei beni, ha chiarito in
una circostanza Benedetto XVI, “non sono in contraddizione l’una con l’altra, purché
il loro rapporto sia bene ordinato”: “Il profitto
è naturalmente legittimo e, nella giusta misura, necessario allo sviluppo economico.
Giovanni Paolo II così scrisse nell’Enciclica Centesimus annus: 'La moderna economia
d’impresa comporta aspetti positivi, la cui radice è la libertà della persona, che
si esprime in campo economico come in tanti altri campi'. Tuttavia, egli aggiunse,
il capitalismo non va considerato come l’unico modello valido di organizzazione economica”.
(23 settembre 2007) Questo perché la logica del capitalismo,
anche nella migliore intenzione, è comunque figlia di quella mera “giustizia distributiva”
che, spiegava il Pontefice nel suo ultimo Messaggio per la Quaresima, si limita a
rimuovere le “cause esteriori” delle varie miserie, ma senza alzare lo sguardo verso
gli orizzonti più ampi della giustizia di Dio. E la “tentazione dell’autosufficienza”,
la cui deriva dell’egoismo è radicata – ricorda Benedetto XVI – in un limite umano
più subdolo e profondo:
“Questa goccia di veleno
la chiamiamo peccato originale (...) Emerge in noi (...) la dimensione drammatica
dell'essere autonomi; che faccia parte del vero essere uomini la libertà del dire
di 'no'”. Un errore, obietta Benedetto XVI nel suo Messaggio,
che potrebbe essere evitato se si comprendesse che, “come e più del pane”, l’uomo
ha soprattutto bisogno di Dio, ed è solo in questo confronto con il Bene supremo che
acquista di spessore e di costanza il bene fatto agli uomini, la giustizia che si
spinge alla gratuità dell’amore:
“L'uomo che si
volge verso Dio non diventa più piccolo, ma più grande, perché grazie a Dio e insieme
con Lui diventa grande, diventa divino, diventa veramente se stesso. L'uomo che si
mette nelle mani di Dio non si allontana dagli altri, ritirandosi nella sua salvezza
privata; al contrario, solo allora il suo cuore si desta veramente ed egli diventa
una persona sensibile e perciò benevola ed aperta”. (8 dicembre 2005)