''Sono preoccupato. La preoccupazione e' una parola pesante e importante pero' rimane.
Seguo gli sviluppi della situazione e mi pongo i problemi che potranno sorgere'':
è quanto ha detto il presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, in
relazione all'intricata vicenda delle liste elettorali del Pdl che non sono state
ammesse alle elezioni regionali nel Lazio e nella Lombardia. Il Capo dello Stato ha
parlato di “pasticcio” di cui resta competente la magistratura. Ha ricordato che i
principi di democrazia e partecipazione costituzionalmente garantiti non possono che
svolgersi nel rispetto dei limiti e delle forme previste dalla legge. Nel presentare
le liste del Pdl ci sono stati ritardi nell’adempienza del regolamento e irregolarità.
Intando si sta facendo avanto l’ipotesi di una “soluzione politica”. Sulla vicenda
Luca Collodi ha intervistato il prof. Antonio Maria Baggio, docente
di Filosofia Politica presso l’Istituto Universitario Sophia di Loppiano: R.
– Errori nella presentazione delle liste, ce ne sono sempre stati. Certo, quando gli
errori diventano macroscopici, ci si devono porre delle domande. E questo perché nella
vita di partito – e chi l’ha fatta, lo sa – la presentazione delle liste al momento
elettorale è sempre seguita con un’attenzione addirittura maniacale. Che si facciano
degli errori come quelli di questi giorni, è certamente un segno di pressappochismo
di un ceto politico che sembra essersi abituato a poter aggiustare tutto, senza trasparenza.
Allora che non ci sia più abitudine alle legalità è molto preoccupante, perché questa
disabitudine alla legalità e alla trasparenza non colpisce soltanto la vita interna
dei partiti, ma certamente diventa sostanzialmente lesiva dei diritti civili e politici
di tutti quanti i cittadini. Io vorrei aggiungere che questi fenomeni si producono
specialmente quando i politici diventano ceto, quando cioè si organizzano con un modo
loro di essere categoria, separata dalla società, e per quanto si rivolgano continuamente
a noi cittadini - attraverso i telegiornali, le televisioni e i mezzi di comunicazione
– in realtà c’è una scissione ed un abisso. E questo perché il modo ormai in cui vengono
scelti non è più nelle mani della cittadinanza. C’è un limite della sovranità: i politici
si scelgono da soli. D. – E qui, prof. Baggio si apre un altro
tema, quella della legge elettorale… R. – In cosa consiste la
drammatica pochezza di questa legge? Nel fatto che consente ai partiti stessi, e dunque
ad associazioni private a norma di Costituzione, di compilare le liste e di decidere
la composizione dell’’organo legislativo. Questa è una mostruosità dal punto di vista
giuridico e democratico. D. – Quindi, ci sono dei nominati più
che degli eletti? R. – Non c’è più elezione, ma si sceglie soltanto
la lista. Il cuore della democrazia è scegliere l’eletto: è sempre stato questo, sulla
base dei programmi, ma anche sulla scelta delle persone. Ora questo non sembri un
accanimento contro il centro-destra, perché la legge nella sua dimensione nazionale
è una specie di fotocopia della legge della Regione Toscana, che fu fatta dal centro-sinistra.
Per questo parlo di ceto politico. Ci sono dei problemi, degli obiettivi che i cittadini
devono riuscire a raggiungere, obiettivi di legalità e di democrazia, prima di dividersi
in destra, sinistra, centro, sopra o sotto. Ci mancano elementi fondamentali della
vita democratica. Le elezioni possono essere ora un’occasione per cercare di sperimentare
nuovi modi di scegliere le persone e di costruire i programmi. E’ necessario, però,
un nuovo protagonismo della società civile, che spezzi questa gabbia di ferro che
è stata costruita negli ultimi decenni. D. – Prof. Baggio,
leggendo i giornali di questi giorni, a margine della mancanza di legalità, delle
polemiche e del caos elettorale che si sta concretizzando alla vigilia di queste elezioni
amministrative, si nota anche un’assenza o comunque una marginalità dei cattolici
impegnati in politica… R. – La mancanza dei cattolici in politica
significa l’incapacità di tradurre la grande vitalità del mondo cattolico, che c’è
nel sociale, a livello istituzionale. Tante volte i cattolici entrano in politica
semplicemente accettando un’offerta di ingresso. Nelle situazioni attuali, in cui
si viene scelti e non si viene eletti, questa è una condizione di debolezza: entrare
in politica così, significa entrare essendo alla mercé di chi ti ha preso. Io, invece,
qui intendo un risveglio sociale che è nella tradizione del cattolicesimo. Quando
i cattolici non potevano far politica diretta, perché c’era il “non expedit” di Pio
IX, si sono dedicati al sociale ed hanno costruito la società. Ai tempi dell’Unità
d’Italia il sociale era molto ristretto e i cattolici hanno costruito il sociale,
hanno fatto le cattedre ambulanti di agricoltura, le cooperative e il microcredito,
ancor prima di Muhammad Yunus. Hanno fatto cose che hanno dato vita
alla società. Allora credo che questo, forse, possa essere il nostro nuovo obiettivo
in quanto cattolici: ricostruire il sociale e cominciare a trasformare questa politica,
purtroppo, inutile.