Il Papa dedica l’udienza generale a San Bonaventura “uomo di azione e di contemplazione”.
Testo della catechesi
Stamani il Papa ha dedicato l’udienza generale a San Bonaventura da Bagnoregio, “uomo
di azione e di contemplazione, di profonda pietà e di prudenza nel governo”. Questo
“santo Dottore della Chiesa” ha detto il Pontefice – “ci ricorda il senso della nostra
vita con le seguenti parole: ‘Sulla terra… possiamo contemplare l’immensità divina
mediante il ragionamento e l’ammirazione; nella patria celeste, invece, mediante la
visione, quando saremo fatti simili a Dio, e mediante l’estasi ... entreremo nel gaudio
di Dio’”. Ecco il testo della catechesi.
Cari fratelli e sorelle,
quest’oggi
vorrei parlare di san Bonaventura da Bagnoregio. Vi confido che, nel proporvi questo
argomento, avverto una certa nostalgia, perché ripenso alle ricerche che, da giovane
studioso, ho condotto proprio su questo autore, a me particolarmente caro. La sua
conoscenza ha inciso non poco nella mia formazione. Con molta gioia qualche mese fa
mi sono recato in pellegrinaggio al suo luogo natio, Bagnoregio, una cittadina italiana,
nel Lazio, che ne custodisce con venerazione la memoria.
Nato probabilmente
nel 1217 e morto nel 1274, egli visse nel XIII secolo, un’epoca in cui la fede cristiana,
penetrata profondamente nella cultura e nella società dell’Europa, ispirò imperiture
opere nel campo della letteratura, delle arti visive, della filosofia e della teologia.
Tra le grandi figure cristiane che contribuirono alla composizione di questa armonia
tra fede e cultura si staglia appunto Bonaventura, uomo di azione e di contemplazione,
di profonda pietà e di prudenza nel governo.
Si chiamava Giovanni da Fidanza.
Un episodio che accadde quando era ancora ragazzo segnò profondamente la sua vita,
come egli stesso racconta. Era stato colpito da una grave malattia e neppure suo padre,
che era medico, sperava ormai di salvarlo dalla morte. Sua madre, allora, ricorse
all’intercessione di Francesco d’Assisi, da poco canonizzato. E Giovanni guarì.
La
figura del Poverello di Assisi gli divenne ancora più familiare qualche anno dopo,
quando si trovava a Parigi, dove si era recato per i suoi studi. Aveva ottenuto il
diploma di Maestro d’Arti, che potremmo paragonare a quello di un prestigioso Liceo
dei nostri tempi. A quel punto, come tanti giovani del passato e anche di oggi, Giovanni
si pose una domanda cruciale: “Che cosa devo fare della mia vita?”. Affascinato dalla
testimonianza di fervore e radicalità evangelica dei Frati Minori, che erano giunti
a Parigi nel 1219, Giovanni bussò alle porte del Convento francescano di quella città,
e chiese di essere accolto nella grande famiglia dei discepoli di Francesco. Molti
anni dopo, egli spiegò le ragioni della sua scelta: in san Francesco e nel movimento
da lui iniziato ravvisava l’azione di Cristo. Scriveva così in una lettera indirizzata
ad un altro frate: “Confesso davanti a Dio che la ragione che mi ha fatto amare di
più la vita del beato Francesco è che essa assomiglia agli inizi e alla crescita della
Chiesa. La Chiesa cominciò con semplici pescatori, e si arricchì in seguito di dottori
molto illustri e sapienti; la religione del beato Francesco non è stata stabilita
dalla prudenza degli uomini, ma da Cristo” (Epistula de tribus quaestionibus ad magistrum
innominatum, in Opere di San Bonaventura. Introduzione generale, Roma 1990, p. 29).
Pertanto,
intorno all’anno 1243 Giovanni vestì il saio francescano e assunse il nome di Bonaventura.
Venne subito indirizzato agli studi, e frequentò la Facoltà di Teologia dell’Università
di Parigi, seguendo un insieme di corsi molto impegnativi. Conseguì i vari titoli
richiesti dalla carriera accademica, quelli di “baccelliere biblico” e di “baccelliere
sentenziario”. Così Bonaventura studiò a fondo la Sacra Scrittura, le Sentenze di
Pietro Lombardo, il manuale di teologia di quel tempo, e i più importanti autori di
teologia e, a contatto con i maestri e gli studenti che affluivano a Parigi da tutta
l’Europa, maturò una propria riflessione personale e una sensibilità spirituale di
grande valore che, nel corso degli anni successivi, seppe trasfondere nelle sue opere
e nei suoi sermoni, diventando così uno dei teologi più importanti della storia della
Chiesa. È significativo ricordare il titolo della tesi che egli difese per essere
abilitato all’insegnamento della teologia, la licentia ubique docendi, come si diceva
allora. La sua dissertazione aveva come titolo Questioni sulla conoscenza di Cristo.
Questo argomento mostra il ruolo centrale che Cristo ebbe sempre nella vita e nell’insegnamento
di Bonaventura. Possiamo dire senz’altro che tutto il suo pensiero fu profondamente
cristocentrico.
In quegli anni a Parigi, la città di adozione di Bonaventura,
divampava una violenta polemica contro i Frati Minori di Francesco d’Assisi e i Frati
Predicatori di Domenico di Guzman. Si contestava il loro diritto di insegnare nell’Università,
e si metteva in dubbio persino l’autenticità della loro vita consacrata. Certamente,
i cambiamenti introdotti dagli Ordini Mendicanti nel modo di intendere la vita religiosa,
di cui ho parlato nelle catechesi precedenti, erano talmente innovativi che non tutti
riuscivano a comprenderli. Si aggiungevano poi, come qualche volta accade anche tra
persone sinceramente religiose, motivi di debolezza umana, come l’invidia e la gelosia.
Bonaventura, anche se circondato dall’opposizione degli altri maestri universitari,
aveva già iniziato a insegnare presso la cattedra di teologia dei Francescani e, per
rispondere a chi contestava gli Ordini Mendicanti, compose uno scritto intitolato
La perfezione evangelica. In questo dimostra come gli Ordini Mendicanti, in specie
i Frati Minori, praticando i voti di povertà, di castità e di obbedienza, seguivano
i consigli del Vangelo stesso. Al di là di queste circostanze storiche, l’insegnamento
fornito da Bonaventura in questa sua opera e nella sua vita rimane sempre attuale:
la Chiesa è resa più luminosa e bella dalla fedeltà alla vocazione di quei suoi figli
e di quelle sue figlie che non solo mettono in pratica i precetti evangelici ma, per
la grazia di Dio, sono chiamati ad osservarne i consigli e testimoniano così, con
il loro stile di vita povero, casto e obbediente, che il Vangelo è sorgente di gioia
e di perfezione.
Il conflitto fu acquietato, almeno per un certo tempo, e,
per intervento personale del Papa Alessandro IV, nel 1257, Bonaventura fu riconosciuto
ufficialmente come dottore e maestro dell’Università parigina. Tuttavia egli dovette
rinunciare a questo prestigioso incarico, perché in quello stesso anno il Capitolo
generale dell’Ordine lo elesse Ministro generale. Svolse questo incarico per diciassette
anni con saggezza e dedizione, visitando le province, scrivendo ai fratelli, intervenendo
talvolta con una certa severità per eliminare abusi. Quando Bonaventura iniziò questo
servizio, l’Ordine dei Frati Minori si era sviluppato in modo prodigioso: erano più
di 30.000 i Frati sparsi in tutto l’Occidente con presenze missionarie nell’Africa
del Nord, in Medio Oriente, e anche a Pechino. Occorreva consolidare questa espansione
e soprattutto conferirle, in piena fedeltà al carisma di Francesco, unità di azione
e di spirito. Infatti, tra i seguaci del santo di Assisi si registravano diversi modi
di interpretarne il messaggio ed esisteva realmente il rischio di una frattura interna.
Per evitare questo pericolo, il Capitolo generale dell’Ordine a Narbona, nel 1260,
accettò e ratificò un testo proposto da Bonaventura, in cui si raccoglievano e si
unificavano le norme che regolavano la vita quotidiana dei Frati minori. Bonaventura
intuiva, tuttavia, che le disposizioni legislative, per quanto ispirate a saggezza
e moderazione, non erano sufficienti ad assicurare la comunione dello spirito e dei
cuori. Bisognava condividere gli stessi ideali e le stesse motivazioni. Per questo
motivo, Bonaventura volle presentare l’autentico carisma di Francesco, la sua vita
ed il suo insegnamento. Raccolse, perciò, con grande zelo documenti riguardanti il
Poverello e ascoltò con attenzione i ricordi di coloro che avevano conosciuto direttamente
Francesco. Ne nacque una biografia, storicamente ben fondata, del santo di Assisi,
intitolata Legenda Maior, redatta anche in forma più succinta, e chiamata perciò Legenda
minor. La parola latina, "Legenda", a differenza di quella italiana, non indica un
frutto della fantasia, ma, al contrario, “Legenda” significa un testo autorevole,
“da leggersi” ufficialmente. Infatti, il Capitolo generale dei Frati Minori del 1263,
riunitosi a Pisa, riconobbe nella biografia di san Bonaventura il ritratto più fedele
del Fondatore e divenne la biografia ufficiale del santo.
Qual è l’immagine
di san Francesco che emerge dal cuore e dalla penna del suo figlio devoto e successore,
san Bonaventura? Punto essenziale, Francesco è un alter Christus, un uomo che ha cercato
appassionatamente Cristo. Nell’amore che spinge all’imitazione, egli si è conformato
interamente a Lui. Bonaventura additava questo ideale vivo a tutti i seguaci di Francesco.
Questo ideale, valido per ogni cristiano, ieri, oggi, sempre, è stato indicato come
programma anche per la Chiesa del Terzo Millennio dal mio Venerabile Predecessore
Giovanni Paolo II. Tale programma, egli scriveva nella Lettera Tertio Millennio ineunte,
si incentra “in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la
vita trinitaria, e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme
celeste” (n. 29).
Nel 1273 la vita di san Bonaventura conobbe un altro cambiamento.
Il Papa Gregorio X lo volle consacrare Vescovo e nominare Cardinale. Gli chiese anche
di preparare un importantissimo evento ecclesiale: il II Concilio Ecumenico di Lione,
che aveva come scopo il ristabilmento della comunione tra la Chiesa Latina e quella
Greca. Egli si dedicò a questo compito con diligenza, ma non riuscì a vedere la conclusione
di quell’assise ecumenica, perché morì durante il suo svolgimento. Un anonimo notaio
pontificio compose un elogio di Bonaventura, che ci offre un ritratto conclusivo di
questo grande santo ed eccellente teologo: “Uomo buono, affabile, pio e misericordioso,
colmo di virtù, amato da Dio e dagli uomini... Dio infatti gli aveva donato una tale
grazia, che tutti coloro che lo vedevano erano pervasi da un amore che il cuore non
poteva celare” (cfr J.G. Bougerol, Bonaventura, in A. Vauchez (a cura), Storia dei
santi e della santità cristiana. Vol. VI. L’epoca del rinnovamento evangelico, Milano
1991, p. 91).
Raccogliamo l’eredità di questo santo Dottore della Chiesa, che
ci ricorda il senso della nostra vita con le seguenti parole: “Sulla terra… possiamo
contemplare l’immensità divina mediante il ragionamento e l’ammirazione; nella patria
celeste, invece, mediante la visione, quando saremo fatti simili a Dio, e mediante
l’estasi ... entreremo nel gaudio di Dio” (La conoscenza di Cristo, q. 6, conclusione,
in Opere di San Bonaventura. Opuscoli Teologici /1, Roma 1993, p. 187).