Appello del presidente dei vescovi ugandesi per milioni di persone che vivono nei
campi profughi
Una chiesa viva e in costante crescita. È questa la fotografia della comunità cattolica
ugandese fatta mons. Matthias Ssekamanya, vescovo di Lugazi e Presidente della Conferenza
episcopale dell’Uganda, intervistato dall'agenzia Fides a Roma in occasione della
visita ad limina Apostolorum. “Se da un lato riponiamo molte speranze sulla crescita
della Chiesa nel nostro Paese, dall’altro non nascondiamo che siamo di fronte ad alcune
sfide importanti” ha poi affermato mons. Ssekamanya. “In primo luogo, non tutti i
fedeli hanno completamente assimilato il Vangelo. Questo perché le culture tradizionali
sono ancora molto forti. Alcune di queste sono incompatibili con il Vangelo, come
ad esempio la poligamia e certe credenze religiose ancestrali”. “Altre sfide - continua
mons. Ssekamanya - sono rappresentate dalle sette, che dispongono di risorse finanziere
importanti ed hanno una forte attrattiva nei confronti dei giovani e delle persone
di condizioni modeste”. Secondo il presule la maggior parte di queste sette presenti,
sono originarie dell’America del Nord e dell’Europa”. Discreto ottimismo viene espresso
anche sul fronte dei rapporti ecumenici e interreligiosi: “In Uganda abbiamo una Commissione
interreligiosa nella quale discutiamo insieme con i rappresentanti degli altri culti,
alcuni problemi comuni. Esiste anche un Consiglio ecumenico del quale fanno parte
la Chiesa cattolica, quella ortodossa e quella anglicana. Tra le questioni che affrontiamo
vi sono l’educazione, i matrimoni misti, i problemi sociali, specialmente la pace
nella giustizia. A questo proposito stiamo preparando una Lettera pastorale comune
sulle prossime elezioni”. Mons. Ssekamanya ha parlato anche delle condizioni nel
nord dell’Uganda, da più di 20 anni sconvolto dalla guerra condotta dall’Esercito
di Resistenza del Signore (Lra) contro la popolazione civile: “La situazione è in
via di continuo di miglioramento perché non vi sono più combattimenti”. L’Lra (che
Mons. Ssekamanya definisce un “gruppo molto misterioso”), ha spostato da qualche anno
le sue attività al di fuori dell’Uganda, in particolare, in sud Sudan, nella Repubblica
Democratica del Congo e in Centrafrica. Ma secondo il vescovo “il problema maggiore
è rappresentato dal fatto che abbiamo milioni di persone che da 20 anni vivono in
campi profughi”. Per questo motivo hanno bisogno di assistenza per ricostruire le
case e per permettere alla gente di riprendere le coltivazioni: “Queste persone sono
molto povere e necessitano di tutto. Mi preme sottolineare l’urgenza di ricostruire
le scuole, perché l’educazione è la chiave per ogni tipo di sviluppo”. “La Chiesa
cattolica continuerà a fare la sua parte per giungere ad una riconciliazione completa
nella zona” conclude il presidente della Conferenza episcopale. (M.G.)