2010-03-02 15:35:27

Appello del presidente dei vescovi ugandesi per milioni di persone che vivono nei campi profughi


Una chiesa viva e in costante crescita. È questa la fotografia della comunità cattolica ugandese fatta mons. Matthias Ssekamanya, vescovo di Lugazi e Presidente della Conferenza episcopale dell’Uganda, intervistato dall'agenzia Fides a Roma in occasione della visita ad limina Apostolorum. “Se da un lato riponiamo molte speranze sulla crescita della Chiesa nel nostro Paese, dall’altro non nascondiamo che siamo di fronte ad alcune sfide importanti” ha poi affermato mons.  Ssekamanya. “In primo luogo, non tutti i fedeli hanno completamente assimilato il Vangelo. Questo perché le culture tradizionali sono ancora molto forti. Alcune di queste sono incompatibili con il Vangelo, come ad esempio la poligamia e certe credenze religiose ancestrali”. “Altre sfide - continua mons. Ssekamanya - sono rappresentate dalle sette, che dispongono di risorse finanziere importanti ed hanno una forte attrattiva nei confronti dei giovani e delle persone di condizioni modeste”. Secondo il presule la maggior parte di queste sette presenti, sono originarie dell’America del Nord e dell’Europa”. Discreto ottimismo viene espresso anche sul fronte dei rapporti ecumenici e interreligiosi: “In Uganda abbiamo una Commissione interreligiosa nella quale discutiamo insieme con i rappresentanti degli altri culti, alcuni problemi comuni. Esiste anche un Consiglio ecumenico del quale fanno parte la Chiesa cattolica, quella ortodossa e quella anglicana. Tra le questioni che affrontiamo vi sono l’educazione, i matrimoni misti, i problemi sociali, specialmente la pace nella giustizia. A questo proposito stiamo preparando una Lettera pastorale comune sulle prossime elezioni”. Mons. Ssekamanya ha parlato anche delle condizioni nel nord dell’Uganda, da più di 20 anni sconvolto dalla guerra condotta dall’Esercito di Resistenza del Signore (Lra) contro la popolazione civile: “La situazione è in via di continuo di miglioramento perché non vi sono più combattimenti”. L’Lra (che Mons. Ssekamanya definisce un “gruppo molto misterioso”), ha spostato da qualche anno le sue attività al di fuori dell’Uganda, in particolare, in sud Sudan, nella Repubblica Democratica del Congo e in Centrafrica. Ma secondo il vescovo “il problema maggiore è rappresentato dal fatto che abbiamo milioni di persone che da 20 anni vivono in campi profughi”. Per questo motivo hanno bisogno di assistenza per ricostruire le case e per permettere alla gente di riprendere le coltivazioni: “Queste persone sono molto povere e necessitano di tutto. Mi preme sottolineare l’urgenza di ricostruire le scuole, perché l’educazione è la chiave per ogni tipo di sviluppo”. “La Chiesa cattolica continuerà a fare la sua parte per giungere ad una riconciliazione completa nella zona” conclude il presidente della Conferenza episcopale. (M.G.)







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