2010-03-01 15:29:08

Via Crucis a Betlemme per costruire ponti, non muri


Una Via Crucis animata dalle parrocchie di Betlemme, Beit Jala e Bet Sahour, per non dimenticare il Muro di separazione eretto a Betlemme, la cui prima pietra fu posata il primo marzo del 2004. È l’iniziativa Un ponte per Betlemme 2010, organizzata per oggi pomeriggio da Pax Christi Italia, dal Patriarcato latino di Gerusalemme e dall’Agesci. Il servizio di Giada Aquilino:RealAudioMP3
“Domando alla comunità internazionale di non lasciare nulla di intentato per aiutare israeliani e palestinesi ad uscire” dal vicolo cieco della violenza, privilegiando dialogo e negoziato. Era il 28 dicembre 2008 e a Gaza erano giorni di guerra: il Papa, con queste parole, pregava per la pace in Terra Santa. Oggi quell’appello di Benedetto XVI risuona nuovamente alla Via Crucis che si snoderà per le vie di Betlemme, Beit Jala e Bet Sahour, in occasione dell’iniziativa Un ponte per Betlemme 2010. Dalla Terra Santa, ce ne parla don Nandino Capovilla, coordinatore nazionale di Pax Christi Italia:
 
R. – Si tratta di un’iniziativa fraterna, forte, convinta di comunione e di solidarietà, in una situazione drammatica. Anche in queste ore, le notizie da Gerusalemme parlano genericamente di scontri, ma noi che siamo qui vogliamo gettare un ponte di comunione e di preghiera e vogliamo anche scuotere le nostre Chiese in Occidente perché i cristiani e i musulmani stanno gridando il loro desiderio di non essere abbandonati, dimenticati.
 
D. – Nelle prossime ore si terrà una Via Crucis…
 
R. – Sì, una Via Crucis attraverso i luoghi della sofferenza a Betlemme. Si sono preparati i giovani delle parrocchie, i sacerdoti del Patriarcato per aprirci le porte delle loro case e intonare un’unica preghiera, un’unica supplica al Dio della pace. Sua Beatitudine Fouad Twal inaugurò il primo marzo di tre anni fa Un ponte per Betlemme, quando non era ancora diventato Patriarca latino di Gerusalemme.
 
D. – Per Pax Christi, quella di oggi è un’iniziativa per far memoria del Muro. In che condizioni vive la popolazione locale?
 
R. – Questo è il centro della nostra preghiera, della nostra attenzione: un muro che non solo divide, separa due popoli, ma soffoca la possibilità di conoscenza reciproca e di pacificazione.
 
D. – Benedetto XVI, durante la guerra a Gaza, aveva chiesto alla comunità internazionale di non lasciare nulla di intentato per aiutare israeliani e palestinesi ad uscire dal vicolo cieco della violenza. Com’è possibile?
 
R. – E’ possibile attraverso il ripristino della legalità internazionale, soprattutto con l’applicazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite. Questo è l’impegno: non l’impegno per una ‘pace economica’, com’è stata definita da alcuni, ma l’impegno a far sì che siano rispettate le risoluzioni dell’Onu a partire da quella, appunto, che riguarda il muro. 
Ma la sete di pace è sempre forte in Medio Oriente, dove il ricordo della guerra a Gaza è purtroppo ancora realtà. Ce ne parla suor Alicia Vacas, missionaria comboniana a Betania, vicino Gerusalemme: 
R. – Anche se è già passato un anno, penso che il ricordo di quei giorni sia sempre drammatico per noi, soprattutto pensando che la ricostruzione non è avvenuta, che l’embargo vieta l’ingresso a Gaza di ogni materiale di costruzione: non c’è cemento, non c’è vetro, non c’è ferro. E fa male pensare che la devastazione cui noi abbiamo assistito a Gaza, è esattamente la stessa che c’è in questi giorni: la gente che era sotto le tende continua a vivere lì.
 
D. – Che cosa serve alla gente di quelle zone?
 
R. – Materialmente serve di tutto, ma soprattutto serve sentire la vicinanza della comunità internazionale.
 
D. – Il Papa, venendo in Terra Santa e poi con i continui appelli, è sempre vicino alla popolazione locale. Come sono accolte le preghiere del Pontefice?
 
R. – Penso che siano molto importanti. Penso che la gente abbia proprio il bisogno di sentire, al di là di ogni posizione politica, una comprensione, un sostegno per la propria sofferenza. 
Proprio un invito a non dimenticare la sofferenza delle popolazioni di Terra Santa viene da Pax Christi Italia. Sentiamo il presidente del movimento, mons. Giovanni Giudici:  
R. – Il pellegrino che viene in Terra Santa, spinto dal desiderio di vedere i luoghi dove Gesù è vissuto e le pietre che ha visto, incontra anche una ingiustizia nel presente. E questa ingiustizia non può essere dimenticata.
 
D. – Pax Christi è costantemente presente in Terra Santa: qual è la situazione della popolazione civile?
 
R. – Soffre di questa mancanza di rispetto per le proprie libertà e dignità. Quindi la popolazione araba – cristiana e musulmana – sente che non c’è una prospettiva chiara per il futuro.
 
D. – Il Papa nelle sue preghiere ricorda costantemente la Terra Santa. Come è possibile arrivare alla pace?
 
R. – La scelta di dialogare tra palestinesi e israeliani è una scelta fondamentale. Noi come cristiani possiamo dare un contributo richiamando l’importanza di andare oltre il Muro. Non dimentichiamo lo slogan che ci ha lasciato Giovanni Paolo II: “non muri, ma ponti”. E questo vuol dire aiutare tutte quelle espressioni della società israeliana e palestinese che si incontrano, nella fiducia che il filo che cuce questo tessuto stracciato della comunità possa diventare sempre più robusto e contribuire, appunto, a superare le lacerazioni.







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