L'intenzione di preghiera del Papa: l’economia mondiale sia giusta ed equa. La
riflessione di Riccardo Moro
“Perché l’economia mondiale sia gestita secondo criteri di giustizia e di equità,
tenendo conto delle reali esigenze dei popoli, specialmente di quelli più poveri”:
è l’intenzione di preghiera generale che Benedetto XVI rivolge ai fedeli per il mese
di marzo. Come già nella “Caritas in Veritate”, il Papa mette dunque l’accento sulla
persona umana e i suoi diritti quale autentico paradigma di ogni progresso economico.
Intervistato da Alessandro Gisotti, l’economista Riccardo Moro, direttore
della Fondazione “Giustizia e Solidarietà”, si sofferma sul binomio giustizia-equità
nelle relazioni economiche internazionali:
R. – Io credo
che possa essere utile una riflessione costruita intorno al tema della relazione,
cioè possiamo dire che c’è giustizia quando esistono in una comunità delle relazioni
umanizzanti. Fare giustizia significa ricostruire allora queste relazioni. E’ un tema
assolutamente pertinente con la dimensione economica: il mercato è un insieme, un
complesso di relazioni, e un’economia improntata alla giustizia e all’equità – come
dice il Papa – è un’economia in cui il mercato, in cui le relazioni economiche che
costruiamo, le cose che ci scambiamo, il prezzo che paghiamo, che riconosciamo al
lavoro sono relazioni – appunto – per servire la dignità dell’uomo. Nel momento in
cui questo complesso di relazioni è improntato al riconoscimento, alla costruzione
di una reciproca dignità, allora possiamo parlare di giustizia e di equità e allora
possiamo avere un’economia che è realmente al servizio dell’uomo.
D.
– Quando si parla di crisi economica, in questo periodo si pensa subito agli Stati
Uniti, all’Europa. C’è però tutta una parte di umanità che è quasi endemicamente in
crisi e che non fa notizia …
R. – Questo è vero:
si calcola, secondo i dati della Banca Mondiale, che ci siano un miliardo e 300 milioni
di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno e tre miliardi che vivono con
meno di due dollari al giorno. Ora, ognuno si può immaginare che cosa significhi vivere
con due dollari al giorno. Allora, questa metà del pianeta, sicuramente continua a
vivere senza riuscire a cambiare la situazione; la crisi ha pesato anche su questo
pezzo di umanità, perché questo pezzo di umanità vive anche delle esportazioni che
fa nei confronti del Nord del mondo. La crisi ha determinato recessione, la contrazione
del Pil ha comportato una minore importazione dai Paesi del Sud, per cui i Paesi del
Sud, pur non avendo avuto nessun protagonismo e nessuna responsabilità nella crisi,
ne stanno pagando il prezzo.
D. – L’Asia, con la
Cina in testa, è il motore dell’economia mondiale. C’è il rischio che il nuovo modello
di sviluppo, trainato appunto da questa regione, non sia sufficientemente centrato
sulla persona, sui suoi diritti?
R. – Io direi questo:
non è affatto detto che la Cina, francamente, sia il motore dello sviluppo come lo
sono stati gli Sati Uniti in passato o la Germania nel panorama europeo, negli ultimi
anni. Detto questo, è certamente vero che la crescita cinese è una crescita che suscita
molte perplessità perché ci sono gravi violazioni, francamente; violazioni interne
di legislazione sul lavoro, di diritti dei lavoratori. Credo che una uscita dalla
crisi si possa immaginare esclusivamente attraverso un’assunzione di responsabilità
un po’ di tutti, a 360°. Non basta lasciar fare al mercato. Il mercato non è qualche
cosa che esiste autonomamente; il mercato è fatto da persone e richiede assunzioni
etiche!