Anno Sacerdotale: la testimonianza di padre Langford, Missionario della Carità
Una chiamata al sacerdozio avvertita in tenera età: è quella di padre Joseph Langford,
il primo sacerdote che si è accostato a Madre Teresa di Calcutta per poter dar vita
ad un ramo maschile della Missione di Carità. Un percorso davvero singolare il suo,
al fianco della “piccola matita di Dio” e che lo scorso anno lo ha spinto a trascrivere
le memorie di Madre Teresa. “Il fuoco segreto di Madre Teresa”: questo il titolo del
libro in cui padre Langford rivela quanto gli ha confidato la religiosa che ha consacrato
la sua vita per gli ultimi. Al microfono di Tiziana Campisi padre Langford
racconta la sua storia:
R. – La mia
strada verso il sacerdozio è stata un po’ unica, nel senso che all’età di 5-6 anni
già sapevo dentro di me che dovevo e volevo essere sacerdote e che questa era una
cosa tra la mia persona, il mio cuore di bambino, e il mio Dio, perché era una certezza,
che a volte ho anche respinto, non ne volevo sapere più niente, ma Dio non mi ha mollato…Grazie
a Dio! D. – Com’è arrivato ai Missionari della Carità? R.
– Studiavo Teologia a Roma e un giorno entrando dalle Paoline mi sono trovato davanti
ad un libro: il primo uscito su Madre Teresa, con il suo volto a colori sulla copertina.
Io non la conoscevo, ma quel volto mi ha scosso: ho visto la luce di Cristo che brillava
attraverso questo volto sereno, pieno di luce e di amore. Ho comprato il libro, ho
cominciato a sfogliarne le pagine e ho “letto” le foto prima di leggere il testo.
Ho sentito che questo era quello che il Signore voleva da me, sin da quando avevo
sei anni, anche se allora sapevo e non sapevo. Questa è stata la chiamata concreta.
Un ramo sacerdotale non c’era e io ho sentito una incredibile tensione; mi sono chiesto:
“Signore, come puoi chiamarmi con tanta forza e durante tutta la mia vita verso qualcosa
che ora finalmente mi riveli e, al contempo, mi fai vedere che è impossibile?". Stando
a Roma nel mio tempo libero mi misi allora a lavorare con le suore di Madre Teresa
di Calcutta a San Gregorio, poi in altri luoghi. Quando Madre Teresa passava per Roma,
sono arrivato a conoscerla. Dopo la mia ordinazione sacerdotale, ho condiviso con
lei il mio grande desiderio di dedicare il mio sacerdozio alla sua opera. Così, dopo
cinque anni di discernimento, insieme ad altri due seminaristi, ho cominciato quello
che poi sarebbe diventato il ramo dei Missionari della Carità. D.
– Da allora come è cambiata la sua vita? R. – E’ cambiata radicalmente,
perché cercare di vivere la missione di Madre Teresa è una cosa molto esigente, però
che ti riempie. Per me lei irradiava Dio, era Dio che vive nell’uomo, Dio che irradia
la sua luce sul mondo per mezzo dell’uomo. E’ una cosa gioiosa, è una cosa piena di
luce, è una cosa che dà ed esige tutto l’amore di cui sei capace. Il nostro stile
di vita evidentemente è cambiato, il ministero è cambiato, perché si è volto particolarmente
alla gente bisognosa. C’era una nuova percezione dell’essere sacerdote. D.
– Come missionario della carità è stato molto a contatto con tanti poveri e bisognosi.
Che cosa può raccontarci in proposito? R. – Ci invitano a vivere
una dimensione letteralmente evangelica. Quello che cercano non è tanto un sostegno
e un sollievo fisico e materiale – anche se tutto questo è necessario ed è quello
per cui vengono in un primo momento – ma quello che mi tocca profondamente stando
a contatto con la gente bisognosa è questa grande fame di Dio. Tutto si riduce all’essenziale:
“Incontrasi con un Dio che ha sete infinita di me, di amarmi ed essere amato da me”,
diceva Madre Teresa. E’ sempre festa. Sono segni di risurrezione. D.
– Che bilancio può fare del suo sacerdozio? R. – Il sacerdozio
mi ha dato tutto; mi ha dato una immediatezza di contatto con Gesù Sacramentale, che
non è una cosa, non è qualcosa, ma è Qualcuno, nell’Eucaristia. Poter assolvere, poter
predicare con l’autorità, con l’unzione, nella voce di Gesù stesso, perché è la Chiesa
che predica e non il sacerdote; agire “in persona Christi”; avere una famiglia che
si estende su tutta la faccia della terra; l’intimità della preghiera di intercessione.
E’ un dono per me che va al di là di ogni capacità descrittiva ed è la gioia più grande
della mia vita.