Mons. Marchetto: la Chiesa dalla parte degli zingari contro razzismo e discriminazioni
“Sollecitudine della Chiesa verso gli Zingari: situazione e prospettive”: è il tema
dell’Incontro dei direttori nazionali della Pastorale degli zingari in Europa che
si terrà a Roma, a Palazzo San Calisto, dal 2 al 4 marzo prossimi. Per una riflessione
sugli obiettivi che ci si prefigge con questo incontro, Fabio Colagrande ha
intervistato l'arcivescovoAgostino Marchetto, segretario del Pontificio
Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti:
R. - Innanzitutto
vorrei sottolineare la situazione di estrema povertà in cui versano milioni
di Zingari in Europa, che è aggravata anche dal clima di tensione e di ostilità
che esiste nei loro confronti. Certo, non in tutti i Paesi espressioni di antiziganismo,
razzismo e xenofobia si registrano con la stessa forza, tuttavia persistono dappertutto.
Ebbene la Chiesa ha l’obbligo di adoperarsi per la difesa della loro dignità
e dei loro diritti, rammentando nel contempo agli Zingari i loro doveri civili. In
questa riunione esamineremo la situazione dei vari Paesi anche dal punto di vista
pastorale, sottolineandone sfide e opportunità. Si cercherà poi di evidenziare
le priorità e formulare proposte per un lavoro più efficace e coordinato tra le Chiese
locali europee e i vari Organismi ecclesiali, e non, che si prodigano a favore degli
Zingari. Inoltre cercheremo approcci idonei per far sì che la Chiesa sia meglio accolta
dalle loro comunità.
D. - Il tema della Riunione
è “Sollecitudine della Chiesa verso gli Zingari: situazione e prospettive”. In che
modo la Chiesa mostra per loro attenzione particolare?
R.
- La Chiesa si fa presente tra gli Zingari con una pastorale specifica, che tiene
conto delle loro peculiarità culturali e rispetta la loro identità e diversità, come
richiesto dal Concilio Ecumenico Vaticano II. In quasi tutti i Paesi europei esistono
apposite strutture e uffici, ove operano sacerdoti e agenti pastorali per assicurare
un’efficace e adeguata assistenza spirituale. Il loro numero varia da Paese a Paese.
In Francia, per esempio, che ha una storia antica di tale pastorale, ci sono oltre
100 operatori, tra cui due sacerdoti, diaconi permanenti, accoliti e lettori di etnia
Manouche. Molti di essi condividono il modo di vivere degli Zingari, accettando di
risiedere nei campi e nelle roulotte, e creando le cosiddette “comunità-ponte”. Così
si è partecipi delle sofferenze e preoccupazioni quotidiane degli Zingari, creandosi
legami di solidarietà e comunione fraterna. Un’altra espressione concreta dell’attenzione
ecclesiale per gli Zingari sono le numerose Congregazioni e gli Istituti religiosi
impegnati nell’evangelizzazione e in attività volte al loro sviluppo integrale. Risulta
efficace anche l’opera dei sacerdoti, religiosi, religiose e diaconi (sono oltre cento
nel mondo) che provengono da etnie zingare. C’è da ricordare che esistono pure Organizzazioni
internazionali che si schierano a fianco degli Zingari nella difesa dei loro diritti
e nella loro promozione sociale, culturale e religiosa.
D.
- Il fatto che il 2010 sia stato proclamato “L’Anno europeo della lotta alla povertà
e all’esclusione sociale”, secondo Lei, che cosa potrebbe rappresentare per la vita
di Rom, Sinti e altri gruppi zingari?
R. - Il numero
degli Zingari in Europa si aggira attorno ai 12 - 14 milioni. Di questi la maggioranza
vive - come ho già detto - in condizioni di grande povertà, non avendo accesso a fondamentali
risorse quali l’acqua potabile, il nutrimento, l’alloggio e l’assistenza sanitaria.
La povertà e la discriminazione a loro volta fanno sì che moltissimi Zingari siano
esclusi dagli ambiti del lavoro e della politica, dai sistemi educativi e dai processi
decisionali anche per ciò che li riguarda. Molte azioni e progetti da parte degli
Stati sono già in corso e altri speriamo saranno avviati per farli uscire da questo
isolamento, di cui anch’essi sono responsabili. È necessario comunque tener presente
quanto ci chiede Papa Benedetto XVI nell’enciclica “Caritas in veritate”, e cioè di
essere attenti che le azioni, i progetti e le iniziative non umilino i poveri, in
questo caso gli zingari. Poiché spesso ci si dimentica che sono persone come noi,
con la loro dignità. Occorrono gesti di carità e cammini di apertura reciproca. Auspico
che tutte le iniziative a favore di Rom, Sinti e altri gruppi zingari siano a ‘lungo
termine’, cioè non cessino con la chiusura dell’Anno europeo, ma continuino fino all’effettiva
loro inclusione nella vita sociale e civile.
D. -
Il programma prevede un dibattito sulle “proposte per incrementare dialogo e collaborazione
intra ed extra ecclesiali”. Perché si dà tanta importanza a questo aspetto?
R.
- Dialogo e collaborazione sono due pilastri a sostegno di ogni azione d’insieme e
quindi sono molto importanti nel lavoro pastorale. Gli Zingari, per la maggior parte,
sono emarginati dalla società civile e, di conseguenza, sono anche esclusi facilmente
dalle comunità parrocchiali del luogo in cui si trovano. C’è bisogno dunque di una
pastorale specifica. Purtroppo non tutti i Vescovi e i Parroci avvertono questa urgenza.
Il nostro scopo è cercare modi e vie per favorire una maggiore disponibilità e un
effettivo coinvolgimento delle Chiese locali, delle Diocesi e delle parrocchie nella
pastorale degli Zingari, incoraggiando collaborazione e condivisione tra loro. Ci
sono diocesi, infatti, che sono riuscite a creare commissioni composte da rappresentanti
zingari ed autoctoni. Altre sono riuscite a stabilire rapporti di fraternità e a intraprendere
cammini collettivi di cooperazione e di comunione. Alcune Chiese e diocesi hanno sviluppato
progetti e percorsi che coinvolgono gli Zingari e ne richiedono una presa di consapevolezza
e maggiore responsabilità. Una diocesi, per esempio, ha aperto uno “Sportello Rom
e Sinti”, con funzione di segretariato sociale, dove si offre loro la possibilità
di accedere agli sportelli del microcredito. E non si tratta di un puro assistenzialismo,
ma di strategie in cui Rom e Sinti diventano protagonisti, e questo protagonismo sta
nel loro DNA. Si spera che la condivisione di queste esperienze aiuti a potenziare
l’impegno pastorale delle Chiese locali e dei movimenti e delle associazioni ecclesiali.
R.
- Rientra nei compiti della Chiesa anche contrastare i pregiudizi e gli atteggiamenti
xenofobi che in alcuni Paesi, compresa l’Italia, sono frequenti nei confronti di Rom
e Sinti?
D. - Decisamente sì. La Chiesa, come ci
ha ricordato anche recentemente Papa Benedetto XVI nella Caritas in veritate, “ha
una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, in vista di una società
a misura dell'uomo, della sua dignità, della sua vocazione”. I pregiudizi e gli atteggiamenti
xenofobi sono contrari ai diritti umani e pregiudicano la pacifica convivenza nella
società civile. Per noi cristiani inoltre manifestano mancanza di carità e di giustizia
nei confronti dell’altro, pur diverso da noi e magari carente o colpevole. Queste
forme di diffidenza, poi, sono sintomi di una povertà spirituale che la Chiesa cattolica
deve denunciare ed aiutare a superare. Da qui l’esortazione di Papa Benedetto, e di
altri Pontefici prima di lui, ad includere nella pastorale pure l’esercizio dell’advocacy
in difesa dei diritti umani. A questo proposito abbiamo una dottrina sociale, che
fa parte della morale cattolica, la quale è in ascolto specialmente dei più deboli
e difende coloro che soffrono altresì a causa di discriminazioni e emarginazioni.
Tuttavia la Chiesa ammonisce anche coloro che giustamente rivendicano i propri diritti,
affinché non dimentichino pure i propri doveri, perché se così fosse si corre il pericolo
di “costruire con una mano e distruggere con l’altra” (Giovanni XXIII, Pacem in terris).