Sugli schermi in Italia "Codice genesi" dei fratelli Hughes
L’ultima copia della Bibbia sopravvissuta alla catastrofe è la speranza per l’umanità
rimasta in vita. In Codice genesi, da oggi sugli schermi italiani, Eli è il guerriero
che difende il testo sacro da chi lo vorrebbe usare per il proprio potere e non per
il bene di tutti. Con i tratti del videogame e uno schema piuttosto semplice il film
tenta la nuova strada del film apocalittico solcato da venature spirituali. Servizio
di Luca Pellegrini:
(Trailer) "Trenta
inverni fa la guerra aprì un buco nel cielo, furono in pochi a sopravvivere. La nostra
unica speranza è nelle mie mani"...
Le mani sono
quelle di un misterioso guerriero sopravvissuto ad una terribile catastrofe, scampolo
di umanità alla deriva tra violenze e oscure minacce. Questa speranza è un libro.
Molte volte nel cinema i libri hanno fatto una brutta fine: Ermanno Olmi ne inchiodava
cento sul pavimento, venivano bruciati in Fharheneit 451, che François Truffaut trasse
dal famoso romanzo di Ray Bradbury, mentre chi legge, nella spietata distopia di Orwell,
1984, viene condannato a morte. In Codice Genesi, invece, per salvare quel prezioso
volume, si rischia la vita e molti fanno una brutta fine. Un’apocalisse ha devastato
il pianeta. Eli, interpretato da Denzel Washington, il cui nome richiama quello del
profeta e l’intensità del verbo inglese da cui le tre lettere sono estratte, to believe,
credere - porta nel suo zaino l’ultima copia rimasta di quel prezioso volume. Una
voce dal cielo tanti anni prima gli ha affidato una missione e una mano dal cielo
ora lo guida nel suo cammino verso l’Ovest. Il panorama desertico e polveroso è simile
a tante precedenti apocalissi del grande schermo, ma questa volta venature spirituali
l’attraversano, perché quel libro è la Bibbia e Eli ne difende l’ultima copia rimasta,
nella versione di Re Giacomo del 1611. Le parole contenute in quelle pagine sembrano
essere l’unico mezzo possibile per rifondare l’umanità, per ricostruire un barlume
di civiltà andata perduta. Eli rappresenta il bene, l’impegno morale, il valore della
memoria, costretto a fronteggiare l’utilitarismo totalitario di Carnagie, una sorta
di piccolo despota che si diletta a leggere la storia di Mussolini. I due rappresentano
i diversi modi di leggere e utilizzare il testo sacro: quest’ultimo vede, infatti,
nel possesso della Bibbia, lo strumento di un dominio personale, cui si sottoporranno
le menti deboli nell’ascolto delle carismatiche sentenze. Eli spiegherà, invece, nel
finale inaspettato che richiama una cultura antica e un futuro più luminoso, che proprio
le parole del testo sacro sono la nostra ultima possibilità, pena il crollo definitivo
dei valori che ci sostengono e la scomparsa totale della civiltà. In questo schema
piuttosto semplice e comune del millenario confronto tra bene e male, il fantawestern
diretto dai gemelli Albert e Allen Hughes, solcato da venature spirituali, qualche
allusiva ironia e una massiccia dose di violenza, cerca di inventarsi una teologia
biblica venandola di profezie e adattandola ai gusti giovanili ispirati dai videogame.
Non ne raggiunge lo scopo, ma nemmeno è un pericolo per la sacralità della Bibbia
e la purezza della fede. E’ soltanto un film, che a tratti diverte e a tratti annoia.