2010-02-26 15:23:48

Ginevra: esperti ed ex condannati lanciano la campagna contro la pena di morte


Una moratoria universale della pena di morte; la proposta è emersa con forza nel corso del IV Congresso mondiale contro la pena capitale, che si chiude oggi a Ginevra. Al termine dei lavori sarà infatti adottata una “dichiarazione” che verrà consegnata all’Alto commissario Onu per i Diritti umani, Navi Pillay. Per l’occasione, diversi esperti hanno messo a punto strategie per convincere i 58 Paesi che applicano ancora la pena capitale ad accettare una moratoria: per molti bisogna affidare questo compito alle persone giuste e soprattutto è necessario diffondere più immagini e informazioni per sensibilizzare l’opinione pubblica. Ma nel corso della tre giorni animata da dibattiti e tavole rotonde sono emerse soprattutto le testimonianze di ex-condannati scampati al “braccio della morte”. “La pressione internazionale sta crescendo, possiamo essere ottimisti su una moratoria universale come prima tappa verso l’abolizione” ha detto alla Misna, Joaquim José Martinez, condannato nel 1997 in Florida ma in seguito riconosciuto innocente e liberato nel 2001. “La nostra battaglia va fatta Paese dopo Paese” ha poi sottolineato l’ex-ministro della Giustizia francese, Robert Badinter, secondo il quale in nessun posto al mondo la pena di morte rappresenta davvero un deterrente contro la criminalità. Diversi attivisti impegnati nella difesa dei diritti umani hanno invece dato voce alle “categorie più vulnerabili, i minorenni e i malati mentali”: dal Sudan all’Iran, dove la maggiore età è fissata a nove anni per le femmine e a 15 per i maschi, le esecuzioni di minorenni sono frequenti anche per chi è coinvolto nel traffico di droga. Altre categorie vulnerabili sono gli immigrati e i gruppi sociali più poveri. “Nei Paesi del Golfo gli immigrati giunti dall’Asia e dall’Africa per lavorare rappresentano ormai il 30% della popolazione e il 50% dei condannati a morte” ha ricordato Nabeel Rajab, presidente del “Centro per la difesa dei diritti umani” del Bahrein, sottolineando “la loro vulnerabilità in mancanza di assistenza diplomatica da parte del Paese di origine, di sostegno politico, economico e giuridico”. Dagli Stati-Uniti al Pakistan, l’origine etnica e la mancanza di risorse economiche per difendersi sono indicati da avvocati e rappresentanti della società civile come “aggravanti che avvicinano la condanna a morte”. (M.G.)







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