Nuovo attacco dei talebani nel cuore della capitale afghana Kabul: un commando di
almeno otto assalitori - cinque i kamikaze secondo i talebani, tre per la polizia
- ha preso di mira un'area frequentata da stranieri che ospita diversi hotel, tra
cui il Safi Landmark Hotel, la Park Residence Guesthouse, dove si trovava l'italiano
Pietro Antonio Colazzo, e l'Hamid Hotel. Si parla di almeno 17 morti: tra questi,
dieci indiani, un francese e appunto un funzionario italiano della presidenza del
Consiglio. La dinamica dell'assalto resta incerta: il commando è entrato in azione
verso le 6.30 (le 3 italiane) quando le strade erano deserte anche per la festività
islamica del venerdì, che quest'anno coincide con le celebrazioni del Mulud, il genetliaco
del profeta Maometto. I talebani avevano sferrato un poderoso attacco il 18 gennaio
scorso, mentre il presidente Karzai si apprestava ad officiare il giuramento di 14
dei 25 ministri del futuro governo. Sui motivi che hanno spinto i kamikaze a colpire
stamane una zona frequentata da stranieri, Giada Aquilino ha intervistato il prof.
Marco Lombardi, coordinatore delle attività in Afghanistan dell’Università Cattolica
di Milano, appena rientrato da Herat: R. – Sicuramente
possiamo fare una prima ipotesi che riguarda l’interesse a colpire gli stranieri che
sempre di più partecipano ad attività di cooperazione in Afghanistan. Dall’altra è,
però, opportuno chiarire rispetto a questo specifico attentato che il target indiano
sembra emergere con una certa decisione per quanto riguardo almeno i feriti ed i morti.
Dobbiamo ricordare che l’Afghanistan sta diventando un teatro particolare di un vecchio
scontro, quello cioè tra Pakistan e India. Queste sono giornate in cui stanno ricominciando
alcuni colloqui; c'è una situazione in cui Afghanistan e Kashmir trovano nuove connessioni,
in cui i territori del nord pachistano ed el Fatah sono sempre più vicini agli insorti
afghani. D. – Quindi, da una parte collegamenti con gli equilibri
dell’area asiatica, dall’altra si parla anche di sparatorie sul terreno a Kabul con
un italiano ucciso. Qual è la linea dei ribelli? R. – Sicuramente
l’interesse dei ribelli è quello di avere un Afghanistan destabilizzato e lo è in
questo momento. Questo riconduce alle tensioni dell’area perché ho citato l’India
e il Pakistan come probabilmente attori di scontro in quest’area, ma se ci spostiamo
ad est e quindi andiamo ad Herat, forse un'eguale instabilità è favorita dal vicino
iraniano, che teme il collegamento ad est degli americani, che stanno per aprire un
consolato. D. – Lei è appena tornato da Herat, che progetti
ha l’Università Cattolica di Milano in Afghanistan? R. – Abbiamo
sottoscritto un Protocollo di intesa tra Università Cattolica ed Herat University,
avviando un corso annuale sullo sviluppo e mettendo al centro donne e famiglie come
motori di sviluppo nel nuovo Afghanistan. Accanto a questo partiranno poi alcuni interventi
richiesti dalla Provincia di Herat, che sono di supporto alla Facoltà di giornalismo
ad Herat e alle insegnanti donne nel mondo della scuola pubblica afghana.