Annunciare Cristo in Asia: intervista con mons. Celli
Mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni
Sociali, è tornato da un viaggio in India e Bangladesh. Tanti gli incontri con le
piccole comunità cattoliche locali - impegnate nell'annuncio del Vangelo e in tante
opere sociali ed educative - ma anche con i rappresentanti delle altre religioni.
Tra le occasioni di questo viaggio in Asia, la pubblicazione di un’opera in tre volumi
sulla formazione dei seminaristi nel settore dei mass media. Ce ne parla lo stesso
mons. Claudio Maria Celli al microfono di Philippa Hitchen:
R. – Non
è un manuale per preparare tecnologicamente i giovani alla comunicazione, ma è un
processo anche teologico per riscoprire che cosa significa, oggi, comunicare nella
Chiesa utilizzando ‘anche’ le nuove tecnologie, ma non ‘unicamente’ parlando di nuove
tecnologie. E’ il primo tentativo e io ritengo che sia una iniziativa positiva. Perché?
Perché, come già il Santo Padre nel suo ultimo messaggio per la Giornata delle comunicazioni
sociali faceva cenno, dobbiamo preparare i futuri sacerdoti a giocare un ruolo positivo
nel campo della comunicazione, riscoprendo il senso profondo di questa Parola che
hanno nel proprio cuore e che dev’essere comunicata agli uomini di oggi.
D.
– Di che tipo deve essere questa comunicazione?
R.
- Certamente, non una comunicazione astratta ma una Parola che si incarna nella vita
di oggi, nella quotidianità, con tutti quegli aspetti difficili o positivi che la
vita di oggi riserva a ogni uomo e donna che cammina nella propria esistenza.
D.
– Lei dopo l’India si è recato anche in Bangladesh. Per quale ragione?
R.
- Ho portato questi tre volumi in Bangladesh perché mi sembrava opportuno che anche
la comunità cattolica in Bangladesh ritrovasse anche qui un punto di ispirazione per
una opportuna formazione dei seminaristi a questo prezioso lavoro, che è quello della
comunicazione.
D. – In India, lei ha visitato un
importante Centro dei vescovi per la formazione nella comunicazione sociale, che include
studenti anche non cristiani. Quindi si può parlare di dialogo intereligioso…
R.
– Ho visitato questo Centro, voluto dalla Conferenza episcopale indiana per la formazione
di giovani che possono essere cristiani e non cristiani; ho incontrato 56 studenti,
qualcuno di loro non cristiano. E’ un Centro di preparazione all’uso della comunicazione
a vasto raggio, e quello che mi è sembrato opportuno è questa visione ad ampio respiro
religioso dove giovani credenti di diverse fedi hanno trovato un momento di dialogo,
di ascolto reciproco, di grande rispetto; una convivenza che si fa sempre più responsabile,
solidale e trova proprio nella vita religiosa una sua profonda ispirazione.
D.
– In Bangladesh lei ha constatato che ci sono delle difficoltà – anche finanziarie
- che la Chiesa locale deve affrontare e per quanto riguarda le comunicazioni sociali
si parla di “digital divide”…
R. – Il Bangladesh
vive una situazione completamente diversa dall’India. C’è una contestualità musulmana;
la Chiesa sta operando in maniera significativa. Io sono rimasto stupito della generosità,
della serenità, dell’impegno di questi sacerdoti, dei vescovi e dei missionari, perché
la Chiesa in Bangladesh ha ancora bisogno di un grande appoggio operativo dei missionari.
Però, è innegabile: anche la Chiesa risente della situazione economica del Paese e
quindi emerge, con tutta chiarezza, il “digital divide”. (Montaggio a cura
di Maria Brigini)