Il nunzio a Baghdad: chi vuole distruggere la presenza cristiana in Iraq distrugge
la storia della nazione
Un’Iraq senza cristiani: è il fosco scenario che, giorno dopo giorno, si materializza
in una terra dove il Cristianesimo è presente fin dalle origini. Una “via Crucis”,
quella che sta vivendo la comunità cristiana irachena, che il Papa segue con profondo
dolore. Le ultime uccisioni a Mossul contro civili inermi hanno spinto il vescovo
di questa diocesi martire, mons. Emil Shimoun Nona, a parlare di “emergenza umanitaria”.
Intanto, mentre il governo iracheno ha deciso di creare una commissione di inchiesta
sulle violenze anticristiane a Mossul, centinaia di fedeli hanno deciso, nelle ultime
ore, di abbandonare la città. Ma i cristiani vogliono restare in quella che da sempre
è la loro terra. E’ quanto sottolinea il nunzio in Iraq, mons. Francis Assisi Chullikat,
intervistato da Alessandro Gisotti:
R. – I
cristiani sono qui da 2000 anni e condividono in tutto, con il resto della popolazione,
la storia irachena. Quindi, ogni tentativo di diminuire la presenza cristiana oppure
addirittura distruggere la presenza cristiana in Iraq vuol dire distruggere la stessa
storia della nazione irachena. I cristiani, infatti, sono parte integrante di questa
nazione che vorrebbero costruire insieme, specialmente in questa fase della ricostruzione
del Paese. In questi anni, hanno un ruolo importante che stanno cercando di svolgere
appieno. Il contributo dei cristiani, di tutte le Chiese cristiane che sono presenti
in Iraq è importante per il futuro del Paese. I cristiani, da parte loro, cercano
di vivere la loro vocazione, la loro missione perché tutti possano essere partecipi
di un unico futuro che porti alla prosperità e alla pace della popolazione irachena.
In questo senso, vorrei che le autorità locali, possibilmente anche la comunità internazionale,
possano dare il loro appoggio ai cristiani iracheni affinché vivano in tranquillità
la loro vita in Iraq e professare e testimoniare la loro fede in tutta sicurezza. D.
– Nonostante le violenze, i cristiani iracheni continuano ad essere promotori di riconciliazione… R.
– I cristiani sono, in realtà, proprio i promotori della riconciliazione e della pace
in Iraq. Tutte le Chiese irachene sono coinvolte nel dialogo interreligioso, sono
in contatto costante con la comunità musulmana in Iraq; ancora adesso ho ricevuto
una delegazione composta da sunniti e sciiti che sono venuti in nunziatura per esprimere
la loro solidarietà in questi tempi difficili per i cristiani, specialmente a Mossul.
Questo vuol dire che i cristiani certamente sono promotori della pace e della riconciliazione
in Iraq, e questo ruolo importante che stanno svolgendo è apprezzato anche dal governo.
Purtroppo, in questi momenti difficili, sembra che le autorità locali non riescano
a controllare la violenza che viene commessa contro la popolazione irachena. Ma questo
non vuol dire che i cristiani non continueranno nei loro sforzi per promuovere la
riconciliazione nella popolazione irachena, continuando sempre, perché questo fa parte
della vocazione della Chiesa stessa in Iraq. D. – Il Papa ha
chiesto tante volte, anche ultimamente, alle autorità irachene e internazionali di
fare il possibile per garantire la sicurezza dei cristiani dell’Iraq. Vuole rivolgere
anche lei un appello, attraverso i microfoni della Radio Vaticana? R.
– La comunità internazionale farebbe molto bene a prendere a cuore la sorte delle
minoranze in Iraq, specialmente i cristiani che sono i più esposti a questo tipo di
violenze che accadono in questo periodo, e in particolare a Mossul. La protezione
delle minoranze è importante perché sono i senza voce della società, e quindi l’unica
maniera in cui possono far sentire la loro voce è tramite le istanze internazionali.
Per i cristiani è importante che i loro diritti vengano salvaguardati e tutelati a
livello nazionale, che il loro futuro sia salvaguardato e tutelato.
Più
volte in questi giorni di tensioni in Medio Oriente è stata sottolineata l’importanza
del dialogo tra cristiani e musulmani nella regione, legata proprio alla presenza
della comunità cristiana nella zona. Al microfono di Giada Aquilino, ascoltiamo
il padresiriano Mtanious Hadad, rettore della Basilica cattolica melkita
di Santa Maria in Cosmedin a Roma e rappresentante del Patriarca Gregorios III Laham.
Il religioso è intervenuto al recente Convegno della Comunità di Sant’Egidio “Il futuro
è vivere insieme”:
R. – Il dialogo
è possibile, perché questo è l’unico modo per poter vivere insieme: non si può fare
una divisione tra mondo arabo musulmano e mondo occidentale cattolico o cristiano.
Noi siamo cristiani dal primo momento della nascita del cristianesimo: allora noi
eravamo già in quelle terre e ciò vuol dire che siamo cristiani arabi di nascita e
di identità. Non vogliamo lasciare il Medio Oriente, apparteniamo a quel Paese, abbiamo
vissuto questo dialogo interreligioso per 14 secoli. Momenti difficili ci sono stati
in passato e ci sono attualmente in Libano, in Iraq, momenti difficili di dialogo
tra musulmani e cristiani, ma questo non vuol dire far emigrare i cristiani. D.
– Quindi il futuro del Medio Oriente, nonostante le guerre e le tensioni, per dove
passa? R. – Adesso è un momento veramente difficile, ma se vogliamo
parlare di speranza bisogna ritornare a questo dialogo, al fatto che i musulmani possono
capire che i cristiani appartengono a quel mondo e anche noi con loro abbiamo partecipato
alla nascita di una cultura araba. Bisogna tornare ad un modo veramente moderno di
dialogare, di conoscersi l’un l’altro, perché ancora adesso la maggior parte dei problemi
nasce dall’ignoranza circa la presenza dei cristiani in Medio Oriente e riguardo alla
ricchezza che hanno dato alla cultura araba.