Italia: appello per dire no ai "foto-ricatti". Petizione di fotografi e studiosi dell'immagine
“No ai foto-ricatti’’: è l’appello lanciato in Italia da alcuni fotografi e studiosi
della fotografia, che hanno pubblicato una nota di protesta per avviare una raccolta
di firme, pubblicata da Fotografia&Informazione. “Da diversi mesi – si legge nel documento
- il mondo dell’editoria e del giornalismo fotografico è al centro di notizie di cronaca
relative a vicende giudiziarie, nelle quali le immagini fotografiche sono utilizzate
come pretesto di inaccettabili pratiche ricattatorie. Per ognuno di noi - fotografi,
studiosi, operatori delle immagini - il valore delle riprese è costituito dall’accuratezza
della testimonianza, dalla completezza documentaria, in certi casi dalla creatività
degli autori. Produrre, valutare e utilizzare fotografie in ambito giornalistico e
documentario, significa per noi far conoscere meglio il mondo attraverso di esse.
Per questo motivo siamo contro ogni manipolazione e ogni censura che non sia motivata
da valori etici o dal rispetto della privacy. Ci appare quindi inammissibile – prosegue
la nota - che esistano e si diffondano pratiche mirate all’occultamento delle immagini;
o alla loro pubblicazione, solo in cambio di somme di danaro dai soggetti ritratti,
o di altri meno confessabili vantaggi. Chi lavora per e attraverso le immagini, come
tutti noi - scrivono i firmatari dell’appello - non può accettare questo offensivo
capovolgimento di ruoli. Tanto meno possiamo accettare che il discredito, le ombre
sul nostro lavoro, attraverso ingiuste generalizzazioni, si diffondano e ci travolgano.
Crediamo che le fotografie, ed ogni tipo di immagine ottica, non debbano restare chiuse
nelle casseforti. Esse nascono in vista della loro diffusione più estesa, per una
civile informazione, per un’opinione pubblica più matura e, in prospettiva, per favorire
una maggiore cultura visiva. Non dovrebbero mai essere usate strumentalmente attraverso
minacce e ricatti. Tutto ciò infatti si trasformerebbe, alla fine, - conclude la nota
- in un ricatto anche per la nostra professione, i nostri diritti, le nostre idee.
E ovviamente anche in un peggioramento della qualità dell’informazione nel nostro
Paese. (R.G.)