2010-02-23 14:02:38

Il vescovo di Como, Diego Coletti, riflette sulla Quaresima: penitenza e digiuno mortificazioni che scuotono l'uomo dal suo egoismo


All'Angelus, di domenica scorsa, prima di ritirarsi nel Palazzo apostolico per la settimana di esercizi spirituali, Benedetto XVI aveva definito la preghiera e la penitenza le "armi della fede" per eccellenza della Quaresima. Al microfono di Fabio Colagrande, il vescovo di Como, mons. Diego Coletti, indica come sia possibile declinare nella vita quotidiana quetse pratiche, assieme all'invito alla conversione:RealAudioMP3

R. – La penitenza e il digiuno bisognerebbe volgerli in positivo, fare cioè in modo che queste rinunce e questi “no” cui ci invita il Vangelo siano sullo sfondo di un grande “sì” alla libertà, alla giustizia, alla pienezza di una vita spesa per amore: è soltanto questa funzione liberante che giustifica la mortificazione cristiana. Per quanto riguarda invece la conversione è da accettare, o meglio da attendere o da accogliere come un dono, perché è il Signore che è capace di farci un cuore nuovo e di toglierci dalla vecchiaia dell’uomo ripiegato su se stesso.

 
D. – Proprio nella sua catechesi per il Mercoledì delle Ceneri, il Papa insisteva sull’importanza di andare controcorrente. Lei però sottolinea, anche ai fedeli della sua diocesi, la tentazione che consiste nel fatto di sentirsi migliori degli altri proprio perché si è fatta questa scelta…

 
R. – Accade per tutti i gruppi che, avendo la vita segnata da qualche valore e da qualche ideale, corrono il rischio – come i farisei – di sentirsi una parte separata dell’umanità e migliore degli altri. Per cui, dal loro punto di vista, si sentono autorizzati a giudicare e a condannare piuttosto che a sentirsi solidali e a farsi prossimo. Questo è il rischio di tutte le persone che si mettono in un cammino alto ed esigente di vita interiore, mentre questo stesso cammino dovrebbe farci sentire ancora più vicini a chi è disperso, a chi è smarrito, a chi soffre, a chi è in ricerca. Questo perché sappiamo che il dono ricevuto è fondato sull’amore gratuito di Dio e non sui nostri meriti e quindi ci spinge ad essere ancora più attenti a chi, intorno a noi, ha bisogno di luce e di un sapore nuovo della vita: il Signore ci ha detto che noi siamo “il sale della terra e la luce del mondo” e quindi il sale non sala se stesso, non è ripiegato su di sé. La luce non illumina la lampadina, ma luce e sale sono continuamente a servizio di ciò che va illuminato e insaporito.

 
D. – Come combattere questa tentazione, secondo lei, qual è il modo migliore?

 
R. – Vivere nel clima della grazia, cioè vivere nel clima di un’accoglienza dell’amore gratuito che si manifesta nel suo vertice definito nella Croce di Cristo e quindi il cammino verso la Pasqua è significativo di questa cura della nostra supponenza, della nostra presunzione. Vivere la grazia vuol dire quindi vivere sapendo di essere amati gratuitamente e sapendo che lo scopo della vita non è quello di compiacersi delle proprie prerogative spirituali, ma di rendere tutto ciò che noi riceviamo gratuitamente da Dio un dono messo a disposizione degli altri. (Montaggio a cura di Maria Brigini)







All the contents on this site are copyrighted ©.