Chiusura dell’ostensione delle reliquie di Sant’Antonio: la riflessione di mons. Paolo
Doni
Circa 200 mila pellegrini, 80 ore di esposizione, 150 mila preghiere presentate, 60
frati al fianco dei fedeli, 320 volontari: sono alcuni dei numeri registrati dal 15
al 20 febbraio a Padova, nella Basilica dove sono state esposte le spoglie di Sant’Antonio.
L’evento ha indotto molti a chiedersi se la fede oggi abbia ancora bisogno di forme
esteriori, se si crede con il cuore o con la vista, se c’è il pericolo di uno sviamento
superstizioso quando ci si trova di fronte a delle reliquie. Tiziana Campisi
ne ha parlato con il vicario generale della diocesi di Padova, mons. Paolo Doni:
R. – C’è
stato un movimento spontaneo da parte di moltissime persone e non soltanto della città
e della diocesi, ma anche di tante altre parti d'Italia ed anche dall’estero. Il che
vuol dire che le persone, secondo noi, hanno un grande bisogno di avere un punto di
riferimento spirituale, di una persona – in questo caso Sant’Antonio – che è sentita
come un amico delle persone e delle famiglie e quindi il desiderio di rivolgersi a
lui. Io credo, noi crediamo, che questa sia davvero una grande esperienza spirituale.
La diocesi di Padova gode da sempre della presenza del Santo e non è soltanto una
presenza logistica, ma è una presenza qualitativa nel senso che quello che Antonio
ha rappresentato a suo tempo e continua ancora a rappresentare oggi – penso all’amore
per i poveri, ma pensiamo anche al suo amore per la giustizia, per la legalità - continuano
ad essere degli elementi che in qualche modo sono entrati nel Dna della Chiesa e della
popolazione del territorio, della cultura del territorio. Questa presenza di Antonio,
con i valori che ha proposto e che continua a proporre, si è in questi giorni come
rinnovata. E’ una persona che continua ad essere viva e riesce ad arricchire e a vivacizzare
la cultura di questa terra. D. – Sant’Antonio per i padovani è "il Santo"
e c’è un legame molto forte con questa figura. L’esposizione delle spoglie di Sant’Antonio
ha però richiamato tantissima gente anche al di fuori della diocesi di Padova. Come
mai? R. – La cosa sorprendente è che tutte queste persone –
era una processione infinita - avevano una percezione chiara, quella cioè di non trovarsi
davanti ad un morto, ad uno scheletro, a delle ossa, ma di trovarsi davanti ad una
persona che c’è e che è viva. Io credo che sia questo il motivo che spiega un fenomeno
come questo. La presenza di una persona – in questo caso Antonio – che è una persona
non del passato, ma del presente. E questo se lo leggiamo dal punto di vista della
fede, in forza di quella grande verità che è la comunione dei Santi, supera i tempi
e supera gli spazi. D. – Ma perché questi eventi colpiscono
così tanto e toccano molto di più la sensibilità dei fedeli? R.
– Perché c’è un bisogno incredibile, in questo momento, di riferimenti spirituali,
etici ed ideali in un mondo che sembra essere diventato arido da questo punto di vista.