Diocesi di Napoli, convegno e giornata di preghiera sul tema: "Il carcere, problema
di tutti"
Centralità della persona, recupero e reinserimento. Sono i cardini del convegno, che
si chiude oggi: “Il carcere, problema di tutti”, organizzato dalla diocesi di Napoli.
Due giorni di lavori per fare il punto sulla pastorale penitenziaria e sulla situazione
degli istituti di detenzione. Massimiliano Menichetti ha intervistato don
Franco Esposito, direttore della Pastorale carceraria e cappellano del carcere
napoletano di Poggioreale:
R. – La tematica
che abbiamo scelto quest’anno – “Il carcere, problema di tutti” – vuole essere una
sollecitazione per quanto riguarda sia la comunità civile, ma soprattutto la comunità
ecclesiale. Perché – ci siamo detti – la Chiesa, proprio per sua natura, è una comunità
di amore. Tutta la sua missione consiste nell’annunciare questo amore di Dio.
D.
– Come si spezza questo portare il pane per lo spirito in un carcere?
R.
– Anzitutto, stando accanto a chi è nel carcere. Le problematiche del sovraffollamento,
anche le problematiche dei suicidi, dell’autolesionismo noi le viviamo quotidianamente.
Questa sofferenza cerchiamo di condividerla. Con i volontari facciamo proprio un cammino
di fede. A Poggioreale ci sono circa dieci padiglioni con gruppi di catechesi che
vanno dai 10, 15 anche 20 partecipanti per gruppo: significa che veramente c’è sete
di qualcosa di pulito, di nuovo …
D. – Nel convegno
avete anche presentato percorsi per quei detenuti che decidono di cambiare strada:
di cosa si tratta?
R. – Anche attraverso cooperative,
diamo la possibilità di un minimo di lavoro a otto ex-detenuti. Il numero è esiguo,
però diventa un segno ed una denuncia per le istituzioni che invece dovrebbero intervenire.
Noi ci rendiamo conto che a volte anche con un minimo mensile – perché loro non ricevono
più di 500 euro al mese – riescono poi a tagliare i legami con la criminalità, con
la camorra… Buona parte dei detenuti è legata alla camorra perché la camorra, quando
uno va in carcere, gli paga l’avvocato, aiuta la famiglia settimanalmente… Noi abbiamo
proposto alle parrocchie di adottare un detenuto in modo che quando qualcuno entra
in carcere, ci sia una parrocchia pronta a sostenere le spese per l’avvocato e la
famiglia. Si deve fare in modo che poi dopo questa persona non si trovi in debito
con la criminalità e, quindi, costretta a continuare su quella strada.
D.
– Ribadite: dobbiamo darci da fare affinché il carcere diventi un luogo di reinserimento
e non un luogo di abbandono …
R. – L’articolo 27
della Costituzione dice che il carcere deve essere rieducativo e deve servire per
il reinserimento. Questo è quello che dovrà diventare il carcere. Ma questo lo si
può ottenere non aspettandosi che le istituzioni si convertano, se non c’è un'opinione
pubblica. E credo che la Chiesa, in questo, abbia molto da fare.