Anno sacerdotale: la testimonianza di don Giorgio Bosini, impegnato nella lotta contro
la tossicodipendenza
Imparare ad ascoltare ed insegnare che Dio ci ama davvero: sono le sfide che ogni
giorno affronta don Giorgio Bosini, sacerdote della diocesi di Piacenza-Bobbio. Il
religioso, soprannominato “il prete anti-droga”, è infatti presidente dell’Associazione
“La Ricerca – Ceis” che da quasi trent’anni si occupa di recupero ed assistenza ai
giovani tossicodipendenti. Ma come è nata l’idea di aiutare i ragazzi drogati? Ascoltiamo
lo stesso don Giorgio Bosini al microfono di Isabella Piro:
R. – Negli
anni ’77–’78 si stava rientrando dalla grande azione di volontariato svolta in occasione
del terremoto del Friuli. Nella Caritas c’era un gruppo di giovani che aveva deciso
di impegnarsi a fare qualcosa. Il vescovo aveva detto loro: “Per non essere dei reduci
che si ritrovano ogni tanto, cercate quali sono i problemi sul territorio”. Incominciava
a sorgere a Piacenza questo problema di giovani vittime della droga e mi sono incontrato
con questa realtà. Poi, quello che mi ha fatto decidere in particolare, è stata la
richiesta di una ragazza che io avevo seguito nel percorso dell’Azione Cattolica Ragazzi
che, ad un certo punto, è venuta a cerarmi e mi ha detto: “Aiutami, perché io mi drogo”.
Allora lì mi è crollato il sistema. Pensavo che la dipendenza riguardasse famiglie
disperate, giovani asociali, tutti quei pregiudizi che potevano esserci. Questa cosa
mi ha aperto gli occhi e ho detto: “Beh, allora mi devo occupare di questo”.
D.
– Cosa si impara stando accanto a persone che soffrono per la dipendenza dalla droga?
R.
– Si impara prima di tutto ad ascoltare, a guardare le persone non per come appaiono,
ma per quello che sono dentro. Ho imparato l’onestà con me stesso, riconoscendo che
il Signore, quando ti fa incontrare i poveri, ti dà un beneficio. Non è un problema
in più. A me ha fatto crescere molto sul piano umano e nel rispondere al vero bisogno
di ogni persona.
D. – Siamo nell’Anno Sacerdotale.
Lei perché ha scelto di diventare sacerdote?
R. –
Sicuramente la vocazione è un dono. Io credo di essere stato aiutato dalla mia famiglia:
sono cresciuto in campagna, in un clima molto sereno e quindi anche il pregare, il
partecipare a momenti della comunità per me era una cosa bella. Ho trovato un sacerdote
che mi ha anche stimolato in tante cose. Fondamentalmente, è stato un dire “sì” alle
varie porte che si aprivano. Mi sono ritrovato prete, contento di esserlo.
D.
– Quindi, se tornasse indietro sceglierebbe nuovamente questa strada?
R.
– Sicuramente sì. Per me è stato un grande dono. Mi sono sentito realizzato in tante
cose.
D. – Cosa rappresenta per lei San Giovanni
Maria Vianney, al quale è dedicato l’Anno Sacerdotale?
R.
– Mi ha sempre un po’ accompagnato la figura di questo prete, la sua austerità … È
stato un uomo di grande preghiera, soprattutto legato all’Eucaristia. E poi questo
amore che lui riusciva a trasmettere alle persone: non rimproverava, non condannava!
Aiutava la persona a farsi sentire amata da Dio e quindi quello che trasmetteva era
questa gioia, questa voglia di sentirsi amati da Dio, di credere che Dio ci ama veramente.
D.
– Quale consiglio si sente di dare ad un giovane che volesse intraprendere la vita
sacerdotale?
R. – La vocazione è una chiamata. Non
è che uno può costruirsela da solo. Il consiglio che darei è di non aver paura: non
è un giogo. E' un “sì” che si dice ad una scelta di vita molto bella e se uno si fida
della bontà di Dio, quando uno è aperto a questo “sì”, si possono dire anche i “no”
a tante cose che magari costano …