2010-02-20 14:39:37

L'Unesco lancia l'Anno internazionale per l'avvicinamento delle culture


Mostrare gli effetti benefici della diversità culturale, riconoscendo l’importanza degli scambi incessanti tra le culture. E’ uno degli obbiettivi dell’Anno internazionale per l’avvicinamento delle culture lanciato ufficialmente giovedì scorso all’Unesco di Parigi. L’iniziativa stabilita quale evento culmine del Decennio per la cultura della pace intende evidenziare il ruolo prioritario della conoscenza e della comprensione reciproca ai fini della concordia fra le Nazioni. Ma cosa significa avvicinare le culture in una società globalizzata? Paolo Ondarza lo ha chiesto al prof. Mario Catani, docente di sociologia della globalizzazione all’Università di Parma.RealAudioMP3

R. – Credo che avvicinare le culture oggi debba significare soprattutto fare uno sforzo di ocmprensione e di conoscenza prima di tutto – e può sembrare paradossale – riconoscendo le differenze. Soltanto così potremmo trovare, invece, come si possa convivere.
 
D. – Da una parte, quando si parla di confronto tra culture, si teme il rischio di un appiattimento culturale in cui la specificità di ognuno si perde; è altrettanto da paventare il rischio dell’accostamento tra culture diverse che non dialogano, ipotesi questa che molto spesso provoca – presto o tardi – conflitti o divisioni …
 
R. – Da un lato, la globalizzazione ha omologato una sorta di pensare comune, un modo di pensare soprattutto a livello economico ma che si riverbera anche nella società, un pensiero unico. Il problema è che non è unico il punto da cui provengono le varie culture. La paura sì, da un lato è di omologarci, dall’altro è quello di perdere la nostra identità.
 
D. – Il discorso, infatti, è molto complesso, soprattutto quando si affrontano tematiche legate all’immigrazione, ad esempio, quando ci si interroga chi debba fare il primo passo, se lo deve fare chi ospita o chi viene ospitato …
 
R. – Noi siamo spesso abituati ad avere come paradigma di riferimento quello della competizione, o per meglio dire: quello del ‘mors tua, vita mea’, cioè pensiamo in termini di torta. Esiste una torta, ce ne sono dieci fette, se io me ne accaparro otto è meglio che accaparrarmene cinque. Se riuscissimo a liberarci da questo paradigma culturale e ragionassimo in una logica di ‘vita tua, vita mea’, sicuramente ci toglieremmo anche le domande su chi deve cominciare per primo. Io credo che, indipendentemente, da qualche parte occorre incominciare. Poi, anche la cooperazione è contagiosa, così come la competizione.
 
D. – Professore, ma quanto la diversità culturale oggi è percepita come un valore?
 
R. – Nei dépliant turistici si valorizza la diversità; credo che profondamente, nei comportamenti e magari anche in alcuni atteggiamenti ahimé si faccia molto, invece, per considerare la diversità culturale come un disvalore, cioè quella voglia di omologare che un certo modello di globalizzazione ha portato nell’economia, indirizza anche verso un’idea di omologare la cultura.
 
D. – E guardando la storia, lo scambio culturale è qualcosa che da sempre ha connotato la società umana; ma ha mai costituito un rischio?
 
R. – Potrei dire, i rischi e le opportunità sono sempre presenti. Il rischio dell’annientamento o della vittoria di qualcuno sugli altri, c’è sempre. Però, è anche vero che tendenzialmente la storia – non abbiamo controprove – ci ha insegnato che dagli incontri tra le culture sono nati soprattutto degli esempi, in tutti i campi. molto molto positivi. Però, non dev’esserci il rischio di un problema che non sappiamo, a frenarci verso l’incontro e la valorizzazione di diversità culturali.







All the contents on this site are copyrighted ©.