In arrivo sul grande schermo "Invictus" di Clint Eastwood
Un momento decisivo nella storia del Sudafrica del dopo-apartheid fu quello vissuto
il 24 giugno 1995 sugli spalti dell’Ellis Park Stadium di Johannesburg nel corso della
partita finale del Campionato mondiale di rugby, in cui vinse la squadra sudafricana.
Clint Eastwood ricostruisce nel film “Invictus” con grande intensità quegli incredibili
avvenimenti, sui quali si staglia la figura di Nelson Mandela, il presidente che è
stato il fautore della riconciliazione nazionale. Il film, presentato ieri sera in
anteprima, arriverà sugli schermi in Italia venerdì prossimo. Il servizio di Luca
Pellegrini.
(trailer:
"Anche il perdono incomincia qui. Il perdono libera l'anima, cancella la paura. Ecco
perché è tanto potente, come arma!)
Ricostruire una
nazione dal passato “sconcio” puntando sul coraggio incisivo del perdono e la forza
propulsiva dell’ispirazione. Questi sentimenti sono le leve sulle quali Nelson Mandela
ha fatto forza per sottrarre il suo Paese dal baratro, ricostruirlo socialmente e
politicamente, dargli un possibile futuro di coesistenza e coabitazione tra etnia
bianca e nera. E il cinema morale di Clint Eastwood, in un momento particolarmente
teso della politica mondiale, così densa di proclami belligeranti e intolleranti,
non ne poteva dimenticare l’impatto propedeutico, la necessità storica, il dovere
del ricordo. Così, per non raccontare direttamente gli avvenimenti sudafricani dei
primi anni Novanta che hanno visto nascere la cosiddetta “nazione arcobaleno” e rendere
contemporaneamente doveroso omaggio a un protagonista della scena mondiale, Mandela
appunto, ha preso come pretesto l'indimenticabile partita di rugby disputata nella
finale dei Campionati Mondiali del ’95, nel corso della quale la vittoriosa squadra
degli Springboks capitanata da Francois Pienaar – nel film Matt Damon in gran forma
- simbolo dell’apartheid che fu, diventa il veicolo per una collettiva pacificazione
e la riconquistata unità nazionale. Un miracolo ciò che accadde allora, come sempre
raccontato con afflato quasi umanistico e disposizione umile da Eastwood, cifra stilistica
e cinematografica con la quale cerca la verità, caricando sulle spalle del bravissimo
Morgan Freeman, personalmente scelto da Mandela, la responsabilità di interpretarlo
con il massimo della verosimiglianza.
“Invictus”,
però, non è soltanto un film storico e politico, ma è un film sportivo, nel quale
si cesella perfettamente l’alto valore umano e sociale racchiuso in ogni autentica
e onesta competizione. Qui è il rugby, uno sport spettacolare, a tratti rude, ma fortunatamente
lontano da quelle manifestazioni violente e aggressive che identificano il tifo, ad
esempio, del calcio in molti paesi del mondo. Sembra quasi che la purezza competitiva
del rugby, descritto con grande maestria di camera nel film, sia il veicolo perfetto
per depurare una nazione affetta da divisioni, risentimenti e precarietà di senso
civile. Solo un regista perfettamente equilibrato e illuminato come Eastwood poteva
riuscire a evitare le trappole di una pericolosa retorica, ricavando, invece, un film
volutamente semplice e decisamente rigoroso. Dove si avverte l’ansia di un Presidente
eletto dopo 27 anni di duro carcere, che non ha mai dimenticato le parole finali di
una poesia di William Ernest Henley fissate nella mente in quel terribile periodo:
“Io sono il padrone del mio destino: Io sono il capitano della mia anima”. Due versetti
che sono diventati le ragioni del suo sperare e il motto del suo buon governo, mentre
sul prato di uno stadio si stava disputando una partita incredibile.