2010-02-19 14:18:13

Come Cristo, il sacerdote tenga fisso il suo cuore in Dio: torniamo sulla Lectio divina del Papa ai parroci della diocesi di Roma


Vivere in comunione con Cristo, conformarsi alla volontà di Dio per amare il prossimo senza riserve: tanti gli spunti di meditazione offerti, ieri, da Benedetto XVI ai parroci della sua diocesi di Roma, riuniti in Vaticano per il tradizionale incontro quaresimale. Nella sua lectio divina incentrata sulla Lettera agli Ebrei, il Papa si è soffermato sulle conseguenze pratiche del sacerdozio regale di Cristo per la vita di ogni consacrato. Un evento particolarmente denso, ricco di spunti di riflessione, su cui torniamo oggi con il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3

Per essere realmente un uomo di Dio, il sacerdote “deve conoscere Dio da vicino”, deve vivere in comunione con Cristo. Benedetto XVI ha invitato i sacerdoti ad essere mediatori, a portare l’uomo a Dio, alla redenzione. Ma, è stato il suo richiamo, per far questo bisogna lasciarsi prendere per mano da Dio, entrare nel suo mistero d’amore:

 
“Il nostro essere, la nostra vita, il nostro cuore deve essere fissato in Dio in questo punto dal quale non usciamo e che si realizza, si rafforza giorno per giorno anche con brevi preghiere nelle quali ci ricolleghiamo con Dio e diventiamo più uomini di Dio che vivono nella comunione di Dio e possono così parlare di Dio e guidare a Dio”.

 
Il sacerdote come Cristo, ha detto il Papa, è chiamato ad entrare nella miseria umana, a prendere su di sé le sofferenze delle persone affidate a lui. E ha rivolto il pensiero al “vero umanesimo” che Cristo ci ha mostrato:

 
“Certo il suo cuore è sempre fissato in Dio e vede sempre Dio, intimamente è sempre in colloquio con Dio, ma porta nello stesso tempo tutto l’essere, tutta la sofferenza umana entra nella passione, parlando, vedendo gli uomini che sono piccoli senza pastore”.

 
Questa sofferenza, ha soggiunto il Papa, la vediamo nelle lacrime di Cristo, nell’angoscia al Getsemani, nel grido sulla Croce. Tutta questa sofferenza, ha detto, non però un qualcosa che è “accanto alla sua grande missione”. In realtà, proprio così Cristo “offre il sacrificio, fa il sacerdote”:

 
“Diciamo giustamente che Gesù non ha offerto a Dio qualcosa, ma ha offerto sé e questo offrire sé si realizza proprio in questa compassione che trasforma in preghiera e in grido al Padre la sofferenza del mondo”.

 
In questo senso, ha proseguito, “tutta la nostra compassione e la sofferenza di questo mondo così lontano da Dio, è atto sacerdotale”, “è offrire”. Quindi, ha messo l’accento sulla conformità con la volontà di Dio. Un’obbedienza che rappresenta “la verità del nostro essere, è la vera libertà”:

 
“Gesù, portando l’uomo, l’essere uomo, in sé e con sé nella conformità di Dio, nella perfetta obbedienza e cioè nella perfetta conformazione tra le due volontà, ci ha redento e la redenzione ha sempre questo processo del portare della volontà umana nella comunione con la volontà divina”.

 
Nella sua lectio, il Papa ha offerto le sue riflessioni anche sulla figura sacerdotale di Melchisedech. Con lui, ha osservato, un pagano entra nell’Antico Testamento. Una “figura misteriosa in cui appare la vera venerazione di Dio”. Anche il paganesimo, dunque, “è in via verso Cristo”:

 
“Questo vuol dire che Cristo è la novità assoluta di Dio e nello stesso tempo è presente in tutta la storia, e attraverso la storia, va incontro a Cristo non solo la storia del popolo eletto che è la vera preparazione voluta da Dio, nella quale si rivela il mistero di Cristo, ma anche dal paganesimo si prepara il mistero di Cristo, vanno le vie verso Cristo e porta in sé tutto”.







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