Benedetto XVI incontra il clero di Roma: sacerdoti obbedienti a Dio e compassionevoli
con l'umanità portano luce nel mondo
Una lezione sul sacerdozio. E’ quella che Benedetto XVI ha tenuto questa mattina nell’Aula
delle Benedizioni, in Vaticano, al cospetto dei presbiteri della diocesi di Roma,
guidati dal cardinale vicario, Agostino Vallini. Una meditazione intensa, nella forma
della lectio divina, incentrata su alcuni passi della Lettera agli Ebrei. Il
servizio di Alessandro De Carolis:
Sacerdoti
pienamente uomini e completamente di Dio, con il cuore animato da un sentimento su
tutti, la compassione per il mondo e le sue miserie, e animati dall’obbedienza verso
Dio, che non è rinuncia ma un libero atto di adesione a Lui. Su questi cardini Benedetto
XVI ha sviluppato la sua lectio divina con i sacerdoti romani, partendo da
ciò che era la visione del Messia nell’Antico Testamento e raffrontandola con ciò
che realmente Cristo ha rappresentato nella storia della Salvezza. Nella convinzione
antica il Messia doveva rivestire soprattutto un aspetto regale. L’autore della Lettera
agli Ebrei, afferma invece il Papa, scopre un versetto del Salmo 110 – “Tu sei sacerdote
per sempre al modo di Melchisedec” – e lo inserisce nel suo scritto, gettando una
luce nuova su tutta la Bibbia:
“Gesù non solo
adempie la promessa davidica, l’aspettativa del vero Re di Israele, del mondo, ma
realizza anche la promessa del vero sacerdote (…) L’autore della lettera scoprendo
questo versetto ha capito che in Cristo sono unite le due premesse: Cristo è il vero
Re, il Figlio di Dio (…), ma anche il vero sacerdote e così tutto il mondo cultuale,
tutta la realtà dei sacrifici, del sacerdozio che è in cerca del vero sacerdote, del
vero sacrificio, trova in Cristo la sua chiave, il suo adempimento”. Il
sacerdozio, dunque, “appare nella sua purezza e nella sua verità profonda”, ha proseguito
il Papa, che ha sottolineato un’altra caratteristica del sacerdozio di Cristo che
dà senso alla vocazione di ogni suo ministro consacrato:
“Un
sacerdote per essere realmente mediatore tra Dio uomo, deve essere uomo (…) e il figlio
di Dio si è fatto uomo proprio per essere sacerdote, per poter realizzare la missione
del sacerdote (...) Questa è la missione del sacerdote (…) essere mediatore, ponte
che collega e così porta l’uomo a Dio, alla sua redenzione, alla sua vera luce, alla
sua vera vita”. Se un sacerdote
è un “ponte” che mette in comunione l’umanità con la divinità, la sua anima deve nutrirsi
– ha ribadito il Pontefice – di preghiera quotidiana e costante e dell’Eucaristia:
“Solo
Dio può attirarmi a me, può autorizzarmi, può introdurmi nella partecipazione del
mistero di Cristo, solo Dio può entrare nella mia vita e prendermi in mano (…) Sempre
di nuovo dobbiamo ritornare al sacramento, ritornare a questo dono nel quale Dio mi
dà quanto io non potrei mai dare (…) un sacerdote deve essere realmente un uomo di
Dio, deve conoscere Dio da vicino e lo conosce in comunione con Cristo. Dobbiamo vivere
questa comunione”. Questa scelta
di vita, ha insistito Benedetto XVI, richiede a un sacerdote di essere un uomo che
sviluppa sentimenti e affetti secondo la volontà di Dio. Una conversione tutt’altro
che semplice, se si considera quella fuorviante indulgenza che serpeggia nella mentalità
corrente:
“Così si dice: ‘Ha mentito, è umano,
ha rubato, è umano’. Ma questo non è il vero essere umano. Umano è essere generoso,
umano è essere buono, umano è essere un uomo della giustizia (…) e quindi uscendo,
con l’aiuto di Cristo, da questo oscuramento della nostra natura (…) è un processo
di vita che deve cominciare nell’educazione al sacerdozio ma che deve realizzarsi
e continuare in tutta la nostra vita”. Un
sacerdote che è anzitutto un uomo pienamente realizzato ha un cuore votato alla “compassione”.
Non è il peccato, ha osservato il Papa, il segno della “solidarietà” verso la debolezza
umana, ma la forza di condividerne il peso per redimerlo e purificarlo, con quella
stessa capacità di commuoversi che ebbe Gesù in vita e che gli permise di portare
il suo grido di compassione “fino alle orecchie di Dio”:
“Noi
sacerdoti non possiamo ritirarci in unesilio, ma siamo immersi
nella passione di questo mondo e dobbiamo con l’aiuto di Cristo, in comunione con
Cristo, cercare di trasformarlo, di portarlo verso Dio”. Infine,
l’obbedienza. Essa ha spiegato il Pontefice:
“E’
una parola che non piace a noi nel nostro tempo. Obbedienza appare come una alienazione,
come un atteggiamento servile (...) Invece della parola ‘obbedienza’, vogliamo come
parola chiave antropologica ‘libertà’. Ma considerando da vicino questo problema,
vediamo che queste due cose vanno insieme (...) Perché la volontà di Dio non è una
volontà tirannica (…) ma è proprio il luogo dove troviamo la nostra vera identità
(...) Preghiamo realmente il Signore, perché ci aiuti a vedere intimamente che questa
è la libertà e di entrare così con gioia in questa obbedienza e di raccogliere l’essere
umano e portarlo – con il nostro esempio, con la nostra umiltà, con la nostra preghiera,
con la nostra azione pastorale – nella comunione con Dio”.