Al Festival di Berlino quattro pellicole per riflettere sulla condizione dell’essere
umano
La famiglia, la trasmissione dei valori, la memoria del passato, le differenti generazioni
perdute nel tempo. Un pugno di film, in competizione al 60 Festival di Berlino, riflette
e fa riflettere su alcuni dei valori fondamentali della società umana. “Bal”, terzo
atto di una trilogia che il cineasta turco Semih Kaplanoglu ha dedicato al mondo della
sua giovinezza, trasporta lo spettatore in un ambiente rurale ai confini dell´occidente,
dove le memorie ancestrali si fondono nei ricordi personali. Concepito come un lungo
flashback che sintetizza una vita nello sguardo di un bambino, il film commuove per
gli accenti poetici di cui è intriso e per la profonda pietà nei confronti degli esseri
umani. “Please give”, opera seconda di Nicole Holofcener, già nota per aver diretto
episodi di una celebre serie televisiva come “Six feets under”, mette in scena le
vicende di due famiglie newyorkesi, vicine di casa, e soprattutto il senso di colpa
che abita le classi altoborghesi in surplus di benessere di fronte alla condizione
delle persone meno favorite dalla vita. Strutturato come una commedia di caratteri,
il film fa spesso sorridere amaro nel suo tratteggiare con estrema abilità la confusione
di un mondo che non sa più scegliere. É il risultato cui giunge anche un’altra commedia
di produzione hollywwodiana, “The kids are all right” di Lisa Cholodenko, umoristica
e al contempo malinconica riflessione sul bisogno degli individui di formare una famiglia,
ma anche sulla confusione dei modelli che la società propone. Interpretato da ottimi
attori, al di là della scabrosità di certe situazioni, il film convince proprio per
il suo sguardo, al contempo critico e doloroso e per la carica di profonda umanità
dei personaggi che lo abitano. La finzione arriva a sfiorare il senso della vita.
Ma se si vuole arrivare più vicino al reale bisogna affidarsi al documentario, di
cui a Berlino si é potuto vedere uno straordinario esempio, “The unfinished film”
di Yael Hersonsky. Alle prese con una misteriosa pellicola perduta negli archivi,
girata dalla propaganda nazista nel ghetto di Varsavia per documentare la quotidianità
degli ebrei poche settimane prima che incominciasse la loro deportazione verso i campi
di sterminio, la giovane regista israeliana smonta e rimonta quelle immagini, le penetra
con uno sguardo lucido, le confronta con la parola dei sopravvissuti. Così facendo
ci immerge nel senso di doloroso stupore che colpisce di fronte agli ultimi atti di
un’esistenza condannata, ma soprattutto ci consegna un estremo monito di non dimenticare.
(Da Berlino, Luciano Barisone)