Il primo atto di giustizia è riconoscere la propria iniquità. Solo in Cristo l'uomo
torna ad essere giusto: così il Papa alla Messa per il Mercoledì delle Ceneri
“Il primo atto di giustizia è riconoscere la propria iniquità". L'uomo può tornare
ad essere giusto solo grazie alla giustizia di Dio svelata in Cristo. Così in sintesi
il Papa questo pomeriggio durante la Messa con il rito di benedizione e imposizione
delle Ceneri nella basilica di santa Sabina sull’Aventino. “Iniziando una nuova Quaresima-
ha detto - la Chiesa indica la conversione personale e comunitaria quale unica via
per formare società più giuste, dove tutti possano avere il necessario per vivere
secondo la dignità umana”. La celebrazione è stata preceduta da una processione partita
dalla Basilica di sant’Anselmo. Il servizio è di Paolo Ondarza:
Di seguito
il testo integrale dell'omelia pronunciata dal Papa nella Basilica di sant'Anselmo:
"Tu ami tutte le tue creature, Signore, e nulla disprezzi
di ciò che hai creato; tu dimentichi i peccati di quanti si convertono e
li perdoni, perché tu sei il Signore nostro Dio” (Antifona d’ingresso).
Venerati
Fratelli nell’episcopato, cari fratelli e sorelle!
Con
questa commovente invocazione, tratta dal Libro della Sapienza (cfr 11,23-26), la
liturgia introduce la celebrazione eucaristica del Mercoledì delle Ceneri. Sono parole
che, in qualche modo, aprono l’intero itinerario quaresimale, ponendo a suo fondamento
l’onnipotenza d’amore di Dio, la sua assoluta signoria su ogni creatura, che si traduce
in indulgenza infinita, animata da costante e universale volontà di vita. In effetti,
perdonare qualcuno equivale a dirgli: non voglio che tu muoia, ma che tu viva; voglio
sempre e soltanto il tuo bene.
Questa assoluta certezza
ha sostenuto Gesù durante i quaranta giorni trascorsi nel deserto della Giudea, dopo
il battesimo ricevuto da Giovanni nel Giordano. Quel lungo tempo di silenzio e di
digiuno fu per Lui un abbandonarsi completamente al Padre e al suo disegno d’amore;
fu esso stesso un “battesimo”, cioè un’“immersione” nella sua volontà, e in questo
senso un anticipo della Passione e della Croce. Inoltrarsi nel deserto e rimanervi
a lungo, da solo, significava esporsi volontariamente agli assalti del nemico, il
tentatore che ha fatto cadere Adamo e per la cui invidia la morte è entrata nel mondo
(cfr Sap 2,24); significava ingaggiare con lui la battaglia in campo aperto, sfidarlo
senza altre armi che la fiducia sconfinata nell’amore onnipotente del Padre. Mi basta
il tuo amore, mi cibo della tua volontà (cfr Gv 4,34): questa convinzione abitava
la mente e il cuore di Gesù durante quella sua “quaresima”. Non fu un atto di orgoglio,
un’impresa titanica, ma una scelta di umiltà, coerente con l’Incarnazione ed il Battesimo
nel Giordano, nella stessa linea di obbedienza all’amore misericordioso del Padre,
che ha “tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito” (Gv 3,16).
Tutto
questo il Signore Gesù lo ha fatto per noi. Lo ha fatto per salvarci, e al tempo stesso
per mostrarci la via per seguirlo. La salvezza, infatti, è dono, è grazia di Dio,
ma per avere effetto nella mia esistenza richiede il mio assenso, un’accoglienza dimostrata
nei fatti, cioè nella volontà di vivere come Gesù, di camminare dietro a Lui. Seguire
Gesù nel deserto quaresimale è dunque condizione necessaria per partecipare alla sua
Pasqua, al suo “esodo”. Adamo fu cacciato dal Paradiso terrestre, simbolo della comunione
con Dio; ora, per ritornare a questa comunione e dunque alla vera vitala vita eterna, bisogna attraversare il deserto, la prova della fede.
Non da soli, ma con Gesù! Lui – come sempre – ci ha preceduto e ha già vinto il combattimento
contro lo spirito del male. Ecco il senso della Quaresima, tempo liturgico che ogni
anno ci invita a rinnovare la scelta di seguire Cristo sulla via dell’umiltà per partecipare
alla sua vittoria sul peccato e sulla morte.
In questa
prospettiva si comprende anche il segno penitenziale delle Ceneri, che vengono imposte
sul capo di quanti iniziano con buona volontà l’itinerario quaresimale. E’ essenzialmente
un gesto di umiltà, che significa: mi riconosco per quello che sono, una creatura
fragile, fatta di terra e destinata alla terra, ma anche fatta ad immagine di Dio
e destinata a Lui. Polvere, sì, ma amata, plasmata dal suo amore, animata dal suo
soffio vitale, capace di riconoscere la sua voce e di rispondergli; libera e, per
questo, capace anche di disobbedirgli, cedendo alla tentazione dell’orgoglio e dell’autosufficienza.
Ecco il peccato, malattia mortale entrata ben presto ad inquinare la terra benedetta
che è l’essere umano. Creato ad immagine del Santo e del Giusto, l’uomo ha perduto
la propria innocenza ed ora può ritornare ad essere giusto solo grazie alla giustizia
di Dio, la giustizia dell’amore che – come scrive san Paolo – “si è manifestata per
mezzo della fede in Cristo” (Rm 3,22). Da queste parole dell’Apostolo ho tratto lo
spunto per il mio Messaggio, rivolto a tutti i fedeli in occasione di questa Quaresima:
una riflessione sul tema della giustizia alla luce delle Sacre Scritture e del loro
compimento in Cristo.
Anche nelle letture bibliche
del Mercoledì delle Ceneri è ben presente il tema della giustizia. Innanzitutto, la
pagina del profeta Gioele e il Salmo responsoriale – il Miserere – formano un dittico
penitenziale, che mette in risalto come all’origine di ogni ingiustizia materiale
e sociale vi sia quella che la Bibbia chiama “iniquità”, cioè il peccato, che consiste
fondamentalmente in una disobbedienza a Dio, vale a dire una mancanza d’amore. “Sì
– confessa il Salmista – le mie iniquità io le riconosco, / il mio peccato mi sta
sempre dinanzi. / Contro te, contro te solo ho peccato, / quello che è male ai tuoi
occhi, io l’ho fatto” (Sal 50/51,5-6). Il primo atto di giustizia è dunque riconoscere
la propria iniquità, e riconoscere che questa è radicata nel “cuore”, nel centro stesso
della persona umana. I “digiuni”, i “pianti”, i “lamenti” (cfr Gl 2,12) ed ogni espressione
penitenziale hanno valore agli occhi di Dio solo se sono segno di cuori sinceramente
pentiti. Anche il Vangelo, tratto dal “discorso della montagna”, insiste sull’esigenza
di praticare la propria “giustizia” – elemosina, preghiera, digiuno – non davanti
agli uomini, ma solo agli occhi di Dio, che “vede nel segreto” (cfr Mt 6,1-6.16-18).
La vera “ricompensa” non è l’ammirazione degli altri, ma l’amicizia con Dio e la grazia
che ne deriva, una grazia che dona pace e forza di compiere il bene, di amare anche
chi non lo merita, di perdonare chi ci ha offeso.
La
seconda lettura, l’appello di Paolo a lasciarsi riconciliare con Dio (cfr 2 Cor 5,20),
contiene uno dei celebri paradossi paolini, che riconduce tutta la riflessione sulla
giustizia al mistero di Cristo. Scrive San Paolo: “Colui che non aveva
conosciuto peccato – cioè il suo Figlio fatto uomo –, Dio lo fece peccato in nostro
favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio” (2 Cor 5,21). Nel
cuore di Cristo, cioè nel centro della sua Persona divino-umana, si è giocato in termini
decisivi e definitivi tutto il dramma della libertà. Dio ha portato alle estreme conseguenze
il proprio disegno di salvezza, rimanendo fedele al suo amore anche a costo di consegnare
il Figlio unigenito alla morte, e alla morte di croce. Come ho scritto nel Messaggio
quaresimale, “qui si dischiude la giustizia divina, profondamente diversa da quella
umana … Grazie all’azione di Cristo, noi possiamo entrare nella giustizia «più grande»,
che è quella dell’amore (cfr Rm 13,8-10)”.
Cari fratelli
e sorelle, la Quaresima allarga il nostro orizzonte, ci orienta verso la vita
eterna. In questa terra siamo in pellegrinaggio, non abbiamo quaggiù una città stabile,
ma andiamo in cerca di quella futura dice la lettera agli ebrei. La Quaresima fa capire
la relatività dei beni di questa terra e così ci rende capaci per le rinunce necessarie,
liberi per fare il bene. Apriamo la terra per la luce del cielo, per la presenza di
Dio in mezzo a noi. Amen