Telegramma di Benedetto XVI alla Chiesa maronita per l'inizio dell'anno giubilare
in Libano: rinnovare la fedeltà a Cristo e al Papa
La Chiesa maronita ha aperto ufficialmente domenica scorsa le celebrazioni giubilari
per i 1600 anni dalla morte di San Marone, l’antico monaco siriano del quarto secolo
da cui prende il nome la Chiesa libanese. A presiedere la divina liturgia nella basilica
di Santa Maria Maggiore è stato il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione
per le Chiese orientali. Benedetto XVI ha inviato un telegramma per l’occasione. Il
servizio di Alessandro De Carolis:
Il sedicesimo
centenario della morte di San Marone, che cade nel mezzo dell’Anno Sacerdotale, “possa
essere, per clero, religiosi e laici, motivo di rinnovata adesione a Cristo Buon Pastore,
nella plurisecolare fedeltà al Romano Pontefice”. Queste parole del Papa, contenute
in un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, sono
state lette dal cardinale Leonardo Sandri, che ha da parte sua invitato la Chiesa
libanese a “un convinto dialogo ecumenico perché – ha affermato – sia costruttivo
il confronto interreligioso” in Medio Oriente. Lungo tutta la loro storia, ha osservato
il prefetto del dicastero per le Chiese Orientali, “i maroniti hanno cercato il loro
vanto nel proclamarsi figli della Chiesa cattolica, grazie al vincolo di unità nella
verità e nell'amore col Sommo Pontefice romano”. Oggi, ha proseguito il porporato,
ai maroniti è chiesto di considerare la loro responsabilità “verso la Chiesa e la
nazione. Sarebbe triste – ha detto il cardinale Sandri – che voi deludeste le aspettative
di Dio, della Chiesa e del Libano. Testimoniate la fede dei padri cooperando tra Chiese
Orientali cattoliche e Chiesa latina, e come comunità cattolica”.
Così
come il patriarca maronita, il cardinale Nasrallah Butros Sfeir, aveva definito il
giubileo della Chiesa libanese “un anno di giustizia, di riconciliazione e di pentimento”,
anche il cardinale Sandri ha invitato tutta la locale comunità dei credenti a un esame
di coscienza. “La domanda – ha indicato – si impone soprattutto a noi sacerdoti davanti
al luminoso esempio sacerdotale di San Marone. È la domanda che dovrà risuonare nel
prossimo Sinodo per il Medio Oriente: i cristiani, chiamati con questo nome proprio
ad Antiochia, con i loro pastori, dovranno fissare lo sguardo su Gesù, il vero tesoro,
per ritrovare l'essenziale della fede e crescere nella comunione. È questo del resto
– ha concluso il cardinale prefetto – il carisma autentico del monachesimo: essenzialità
e comunione in Cristo”.