Piogge su Haiti, crolla una scuola: 4 bambini morti. Rischio inondazioni
Sono quattro i bambini morti e due quelli feriti per il crollo di un muro della scuola
elementare di Cap Haitian, nel nord di Haiti, colpita negli ultimi giorni da forti
piogge che hanno causato smottamenti del terreno. Il nuovo bilancio delle vittime
e' stato reso noto dalla Protezione civile locale. Proprio le abbondanti piogge su
Haiti, e il conseguente rischio di inondazioni, rappresentano un nuovo allarme per
la popolazione terremotata. Federico Piana ne ha parlato con Marco Bertotto,
direttore del Coordinamento Agire, e ha raccolto anche il resoconto di padre Pasqual
Chavez Villanueva, rettore maggiore dei Salesiani, in visita ad Haiti per constatare
la situazione dei suoi confratelli:
R. – La situazione
è molto difficile. Le piogge degli ultimi giorni ci hanno messo intanto di fronte
all’esigenza di intervenire con più velocità. Credo che l’evidenza sia che gli aiuti
stiano affluendo ad un ritmo, a una velocità e con dimensioni purtroppo ancora non
sufficienti a soddisfare i bisogni delle comunità colpite. Questo perché l’entità
del disastro è stata particolare, in un Paese che è particolare di suo e che già viveva
prima del terremoto delle condizioni di vulnerabilità eccezionali. D.
– Era il più povero dei Paesi poveri: possiamo dire questo? Perché altrimenti non
si esce da questa contraddizione... R. – Sicuramente sì. Era
il Paese più povero dei Paesi poveri ed era un Paese in cui già allora e già prima
era molto difficile operare. E oggi ci sono delle difficoltà oggettive che rendono
molto complessa l’attività di assistenza umanitaria. I bisogni principali riguardano
quello che tecnicamente si chiama “shelter”, quindi la costruzione di ripari temporanei
e il problema dell’igiene pubblica. Intervenire in Port-au-Prince, in modo particolare
su questi due aspetti, è molto difficile, proprio perché i campi spontanei che sono
nati all’interno della città sono campi sovraffollati. In queste aree è molto difficile
installare delle tende o costruire delle latrine, perché ciò spingerebbe le persone
ad abbandonare il campo in quanto manca lo spazio fisico per permettere gli interventi.
Il governo ha recentemente adottato una politica di invito, di incentivo alla popolazione
ad abbandonare Port-au-Prince per cercare più spazi liberi nelle zone confinanti e
costruendo dei campi ad hoc. Evidentemente, la popolazione preferisce rimanere vicino
alle proprie abitazionim, o in zone in cui abbia possibilità di costruire delle reti
di aiuto interno alla comunità, e questo rende molto, molto difficile l’azione umanitaria. D.
– Al rettore maggiore dei salesiani vorrei chiedere invece la Chiesa lì come si sta
muovendo, dal punto di vista anche spirituale. E’ possibile una ripresa piena in questi
giorni oppure no? R. – Direi che i vescovi, attraverso la Conferenza
episcopale haitiana, stanno cercando di prendere in mano la situazione con questa
difficoltà: il fatto che lì concretamente, a Port-au-Prince, sono sparite le due figure
principali. Le parrocchie, però, ed anche le comunità religiose stanno cercando di
aiutare a venire incontro ai bisogni. D. – Il sacerdote diventa
un punto di riferimento in una situazione che diventa drammatica anche da un punto
di vista interiore e psicologico... R. – C’è un sentimento religioso
molto vivo nel popolo haitiano. E’ il momento di aiutare a rinascere il Paese. Questo
Paese ha il diritto di rinascere, altrimenti tutto si ridurrà ad alzare le mura, come
se fosse il problema delle mura. Invece si deve ricostruire un Paese e dare a questa
nazione la dignità. (Montaggio a cura di Maria Brigini)