In Afghanistan, almeno una ventina di ribelli sono stati uccisi nelle prime operazioni
della maxi offensiva antitalebana lanciata dalla Nato la scorsa notte, nel sud del
Paese. Circa 15 mila i soldati impegnati, tra quelli della coalizione internazionale
e quelli locali. Il presidente Karzai si è detto preoccupato per la popolazione civile
e ha lanciato un appello agli insorti chiedendo di deporre le armi. Si teme però che
la guerriglia utilizzi i civili come scudo umano. Sentiamo Eugenio Bonanata: Rinunciate alla
violenza. Hamid Karzai ha chiesto ai talebani di approfittare di questa occasione
per reintegrarsi nella società per il bene del Paese. La guerriglia, però, non sembra
avere intenzione di desistere. Ha annunciato che resisterà e che duemila miliziani
sono pronti a fronteggiare le truppe internazionali – e hanno già cominciato a farlo
– per impedire la conquista della città di Marjah, centro nevralgico della produzione
di droga e fonte finanziaria principale dei ribelli. I civili stanno cercando di lasciare
la zona, proprio contro la volontà dei talebani che – secondo fonti governative locali
– vorrebbero invece utilizzarli come scudi umani quando le operazioni entreranno nel
vivo. Il presidente Karzai ha già chiesto massima prudenza proprio per preservare
i civili, esortando i vertici militari ad evitare raid aerei in zone a rischio. Almeno
una ventina di ribelli e tre soldati americani sono morti nelle prime operazioni congiunte,
che si sono svolte in diverse aree e che il comando Isaf ha definito di “pulizia”
della turbolenta provincia meridionale di Helmad. Difficile per il momento stabilire
il bilancio esatto. Si parla di un attentato avvenuto anche nella vicina zona di Kandahar.
Quel che è certo è l’obiettivo della prima imponente offensiva dall’arrivo dei 30
mila uomini inviati a dicembre dal presidente Usa, Barak Obama. Si tratta di ristabilire
il controllo del governo di Kabul nella regione al confine col Pakistan, considerata
da sempre la roccaforte della guerriglia.