Ai Venerdì di Propaganda il libro di Barbara Frale "La Sindone di Gesù Nazareno"
Si apre un nuovo capitolo nella storia affascinante della più famosa tra le sacre
reliquie: la Sindone. Il volume della storica e archeologa Barbara Frale, dell'Archivio
Segreto Vaticano, avanza un’ipotesi di ricerca di grande fascino, legata alla scoperta,
trent’anni fa, di scritture in greco, latino e aramaico sul lino del lenzuolo. Dal
titolo “La Sindone di Gesù Nazareno”, edito da “Il Mulino”, il volume è stato presentato
ieri a Roma, presso la Libreria Internazionale Paolo VI, nell’ambito della rassegna
“I Venerdì di Propaganda” promossa dalla Libreria Editrice Vaticana. C’era per noi
Claudia Di Lorenzi: Era
proprio Gesù Nazareno l’uomo crocifisso della Sindone. E’ la conclusione a cui è giunta
la storica e archeologa Barbara Frale, proponendo una lettura inedita delle scritture
in greco, latino e aramaico scoperte sul telo circa 30 anni fa. Parole che – è l’ipotesi
della studiosa, affidata alle pagine del suo ultimo libro - per la prima volta, almeno
sul piano storico, segnalano una chiara corrispondenza fra il misterioso uomo della
Sindone e il Gesù dei Vangeli, nato a Nazareth e morto in croce al tempo dell’imperatore
Tiberio. Un’ipotesi di ricerca affascinante che si fonda su precise emergenze storiche
e archeologiche. Ascoltiamo Barbara Frale:
“Io
ho paragonato queste scritture a testimonianze di papiri ed epigrafi di epoca antica
e medievale. Tutto fa pensare che si tratti di tracce di cartigli risalenti all’epoca
di Tiberio, i quali sembrano proprio descrivere le caratteristiche di un certificato
di sepoltura. La persona sepolta era stata condannata a morte sotto il regno di Tiberio.
Addirittura c’è una sequenza, che sembra indicare l’anno 30, il sedicesimo anno di
Tiberio, che cita il nome di quest’uomo chiamandolo Gesù Nazareno”.
Parole
invisibili che sulla tela hanno fissato informazioni preziose, sottraendole all’oblio
dei cartigli ormai scomparsi. Ancora la studiosa:
“Erano
cartigli di papiro che erano stati incollati probabilmente con colla di acqua e farina
e la scrittura, in seguito a fenomeni chimico-fisici legati alla natura dell’inchiostro,
che conteneva ferro, probabilmente, e all’umidità, si è trasferita”.
E’
il racconto di un uomo – spiega la storica - strappato alla vita per un’arbitraria
condanna:
“Le usanze ebraiche prevedevano che il
condannato a morte dovesse scontare una pena simbolica, rimanendo rinchiuso per dodici
mesi nello spazio infamante di un sepolcreto pubblico o, comunque, separato dalla
tomba dei suoi familiari, e i cartigli servivano ad identificare il corpo di ogni
singolo condannato, una volta avvolto nel sudario. Nel caso del personaggio storico
noto come Gesù di Nazareth abbiamo una situazione molto particolare, in quanto i suoi
discepoli vanno dal governatore romano Ponzio Pilato a chiedere di avere in consegna
il corpo del defunto, anziché mandarlo alla sepoltura pubblica”.
Un
racconto – è la convinzione della studiosa - che sul sacro telo evoca mirabilmente
i contenuti dei Vangeli. Ancora Barbara Frale:
“Le
scritture dicono: 'Gesù Nazareno, anno XVI del Regno di Tiberio'. Poi c’è una scritta
in latino, 'Innecem' - 'condannato a morte' - e un’altra scrittura in greco, che dice
probabilmente 'Oye kiato' - 'è stato rimosso all’ora nona” - quella in cui bisognava
togliere i cadaveri dalla croce. Poi c’è un’altra parola, che dice 'Adar', ed era
la data del momento in cui il condannato poteva essere restituito alla famiglia. Nell’anno
30, il mese di Adar cadeva dodici mesi dopo il giorno in cui si celebrava la Pasqua
ebraica ed è assolutamente in linea con quello che si è sempre valutato storicamente
in base ai Vangeli, cioè che Gesù fosse stato condannato a morte, crocifisso, in corrispondenza
della Pasqua”.
La Sindone sarà esposta nuovamente
al pubblico a partire dal prossimo 10 aprile e fino al 23 maggio a Torino.