Il "Red Hand Day" promosso dalla Coalizione contro l'arruolamento dei bambini soldato
Dare una mano dipingendola di rosso. E’ il segno che oggi contraddistingue quanti
intendono esprimere la propria contrarietà all’impiego dei bambini soldato nei contesti
di guerra. In occasione dell’odierno “Red Hand Day” – Giornata della mano rossa -
la Coalizione italiana “Stop all’uso dei bambini soldato” invita a non dimenticare
gli oltre 250 mila minori che prendono parte ai combattimenti in 35 Paesi del mondo.
Benedetta Capelli ha intervistato in proposito Viviana Valastro, portavoce
della Coalizione:
R. – Il “Red
Hand Day” è la Giornata della mano rossa, il 12 febbraio: si ricorda l’anniversario
dell’entrata in vigore del Protocollo opzionale sul coinvolgimento dei bambini nei
conflitti armati, ed è una Giornata alla quale la Coalizione internazionale “Stop
all’uso dei bambini soldato” ha deciso di dare ampio rilievo, per ricordare questo
importante passo avanti compiuto dalla comunità internazionale nel contrastare l’utilizzo
dei bambini nei conflitti armati.
D. – Andando nello
specifico, quali sono le linee-guida di questo Protocollo?
R.
– Il Protocollo ha rappresentato un passo avanti molto importante, perché ha elevato
a 18 anni l’età minima perché i ragazzi possano far parte degli eserciti. Era un limite
contenuto nella Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che indicava
in 15 anni l’età minima, in contrasto poi con il primo articolo della Convenzione
stessa, che definisce “bambino” chi ha un’età compresa tra gli 0 ed i 18 anni.
D.
– Quanti sono, ad oggi, i bambini soldato nel mondo?
R.
– Si stima siano 250 mila: è un dato in ribasso, rispetto al precedente che era di
300 mila. Però, questo non implica un abbassamento dell’attenzione rispetto a questo
fenomeno, perché chiaramente si tratta di una stima: un’indicazione precisa non è
possibile. I contesti di conflitto sono sempre più in aumento e quindi la preoccupazione
è che anche i bambini vengano coinvolti negli stessi conflitti, come soldati.
D.
– Quali sono i Paesi più interessati da questo fenomeno?
R.
– Sono l’Afghanistan, il Burundi, il Ciad, la Colombia, la Costa d’Avorio, la Liberia,
il Myanmar, il Nepal, le Filippine, la Repubblica Democratica del Congo e la Somalia,
lo Sri Lanka, il Sudan e l’Uganda. Questi sono i principali. Diciamo che su 250 mila
bambini e bambine soldato, ben 120 mila sono quelli presenti nel continente africano.
D.
– Quali sono le iniziative previste per oggi, da parte della coalizione italiana della
campagna “Stop all’uso dei bambini soldato”?
R. –
Il nostro è un invito a tutte le persone anche comuni, a casa, in ufficio, di attivarsi
per dare una mano in un modo molto semplice: colorarsi la mano di rosso e testimoniare
la propria contrarietà all’utilizzo dei bambini soldato.
D.
– Voi siete nati nel 1999: quali sono gli obiettivi che avete raggiunto su questo
fronte?
R. – La coalizione era nata nel 1999 con
un obiettivo importantissimo: quello di fare in modo che l’Italia ratificasse il Protocollo
opzionale sul coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati, e questo è avvenuto
l’11 marzo 2002: quindi, questo è stato il risultato più importante che abbiamo raggiunto.
Quello che ora è importante per noi è che, a livello nazionale per esempio, l’Italia
ritiri quella dichiarazione di riserva che ha reso nel momento in cui ha ratificato
il Protocollo opzionale, nel quale ammette la possibilità dell’arruolamento volontario
di ragazzi di 17 anni. Questo è un nostro primo obiettivo, molto importante, che abbiamo
ancora. L’altro è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sul fenomeno del coinvolgimento
dei bambini nei conflitti armati e questa iniziativa di oggi mira, appunto, a raggiungere
questo obiettivo.