Messa per la Giornata mondiale del malato. Testo integrale dell'omelia del Papa
“La misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza
e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società”. È quanto ha detto
stamani il Papa durante la Messa per gli Ammalati, da lui presieduta nella Basilica
Vaticana, nella memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes e nella 18.ma
Giornata Mondiale del Malato. E a 25 anni dall’istituzione del Pontificio Consiglio
per la Pastorale della Salute ha detto: “Istituendo un Dicastero dedicato alla pastorale
sanitaria, la Santa Sede ha voluto offrire il proprio contributo anche per promuovere
un mondo più capace di accogliere e curare i malati come persone”. Ecco il testo
integrale dell’omelia: Signori Cardinali, venerati Fratelli nell’episcopato, cari
fratelli e sorelle! I Vangeli, nelle sintetiche descrizioni
della breve ma intensa vita pubblica di Gesù, attestano che egli annuncia la Parola
e opera guarigioni di malati, segno per eccellenza della vicinanza del Regno di Dio.
Ad esempio, Matteo scrive: “Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro
sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di
infermità nel popolo” (Mt 4,23; cfr 9,35). La Chiesa, cui è affidato il compito di
prolungare nello spazio e nel tempo la missione di Cristo, non può disattendere queste
due opere essenziali: evangelizzazione e cura dei malati nel corpo e nello spirito.
Dio, infatti, vuole guarire tutto l’uomo e nel Vangelo la guarigione del corpo è segno
del risanamento più profondo che è la remissione dei peccati (cfr Mc 2,1-12). Non
meraviglia, dunque, che Maria, madre e modello della Chiesa, sia invocata e venerata
come “Salus infirmorum”, “Salute dei malati”. Quale prima e perfetta discepola del
suo Figlio, Ella ha sempre mostrato, nell’accompagnare il cammino della Chiesa, una
speciale sollecitudine per i sofferenti. Ne danno testimonianza le migliaia di persone
che si recano nei santuari mariani per invocare la Madre di Cristo e trovano in lei
forza e sollievo. Il racconto evangelico della Visitazione (cfr Lc 1,39-56) ci mostra
come la Vergine, dopo l’annuncio dell’Angelo, non tenne per sé il dono ricevuto, ma
partì subito per andare ad aiutare l’anziana cugina Elisabetta, che da sei mesi portava
in grembo Giovanni. Nel sostegno offerto da Maria a questa parente che vive, in età
avanzata, una situazione delicata come la gravidanza, vediamo prefigurata tutta l’azione
della Chiesa a sostegno della vita bisognosa di cura. Il Pontificio
Consiglio per la Pastorale della Salute, istituito 25 anni or sono dal Venerabile
Giovanni Paolo II, è senza dubbio un’espressione privilegiata di tale sollecitudine.
Il pensiero va con riconoscenza al Cardinale Fiorenzo Angelini, primo Presidente del
Dicastero e da sempre appassionato animatore di questo ambito di attività ecclesiale;
come pure al Cardinale Javier Lozano Barragán, che fino a pochi mesi fa ha dato continuità
ed incremento a tale servizio. Con viva cordialità rivolgo, poi, all’attuale Presidente,
Mons. Zygmunt Zimowski, che ha assunto tale significativa ed importante eredità, il
mio saluto, che estendo a tutti gli officiali ed al personale che in questo quarto
di secolo hanno lodevolmente collaborato in tale ufficio della Santa Sede. Desidero,
inoltre, salutare le associazioni e gli organismi che curano l’organizzazione della
Giornata del Malato, in particolare l’UNITALSI e l’Opera Romana Pellegrinaggi. Il
benvenuto più affettuoso va naturalmente a voi, cari malati! Grazie di essere
venuti e soprattutto della vostra preghiera, arricchita dall’offerta delle vostre
fatiche e sofferenze. E il saluto si dirige poi agli ammalati e ai volontari collegati
con noi da Lourdes, Fatima, Częstochowa e dagli altri Santuari mariani, a quanti
seguono mediante la radio e la televisione, specialmente dalle case di cura o dalle
proprie abitazioni. Il Signore Iddio, che veglia costantemente sui suoi figli, dia
a tutti conforto e consolazione. Due sono i temi principali
che presenta oggi la liturgia della Parola: il primo è di carattere mariano e collega
il Vangelo e la prima lettura, tratta dal capitolo finale del Libro di Isaia, come
pure il Salmo responsoriale, ricavato dal cantico di lode a Giuditta. L’altro tema,
che troviamo nel brano della Lettera di Giacomo, è quello della preghiera della Chiesa
per i malati e, in particolare, del sacramento a loro riservato. Nella memoria delle
apparizioni a Lourdes, luogo prescelto da Maria per manifestare la sua materna sollecitudine
per gli infermi, la liturgia riecheggia opportunamente il Magnificat, il cantico della
Vergine che esalta le meraviglie di Dio nella storia della salvezza: gli umili e gli
indigenti, come tutti coloro che temono Dio, sperimentano la sua misericordia, che
ribalta le sorti terrene e dimostra così la santità del Creatore e Redentore. Il Magnificat
non è il cantico di coloro ai quali arride la fortuna, che hanno sempre “il vento
in poppa”; è piuttosto il ringraziamento di chi conosce i drammi della vita, ma confida
nell’opera redentrice di Dio. È un canto che esprime la fede provata di generazioni
di uomini e donne che hanno posto in Dio la loro speranza e si sono impegnati in prima
persona, come Maria, per essere di aiuto ai fratelli nel bisogno. Nel Magnificat sentiamo
la voce di tanti Santi e Sante della carità, penso in particolare a quelli che hanno
speso la loro vita tra i malati e i sofferenti, come Camillo de Lellis e Giovanni
di Dio, Damiano de Veuster e Benedetto Menni. Chi rimane a lungo vicino alle persone
sofferenti, conosce l’angoscia e le lacrime, ma anche il miracolo della gioia, frutto
dell’amore. La maternità della Chiesa è riflesso dell’amore
premuroso di Dio, di cui parla il profeta Isaia: “Come una madre consola un figlio,
/ così io vi consolerò; / a Gerusalemme sarete consolati” (Is 66,13). Una maternità
che parla senza parole, che suscita nei cuori la consolazione, una gioia intima, una
gioia che paradossalmente convive con il dolore, con la sofferenza. La Chiesa, come
Maria, custodisce dentro di sé i drammi dell’uomo e la consolazione di Dio, li tiene
insieme, lungo il pellegrinaggio della storia. Attraverso i secoli, la Chiesa mostra
i segni dell’amore di Dio, che continua ad operare cose grandi nelle persone umili
e semplici. La sofferenza accettata e offerta, la condivisione sincera e gratuita,
non sono forse miracoli dell’amore? Il coraggio di affrontare il male disarmati –
come Giuditta –, con la sola forza della fede e della speranza nel Signore, non è
un miracolo che la grazia di Dio suscita continuamente in tante persone che spendono
tempo ed energie per aiutare chi soffre? Per tutto questo noi viviamo una gioia che
non dimentica la sofferenza, anzi, la comprende. In questo modo i malati e tutti i
sofferenti sono nella Chiesa non solo destinatari di attenzione e di cura, ma prima
ancora e soprattutto protagonisti del pellegrinaggio della fede e della speranza,
testimoni dei prodigi dell’amore, della gioia pasquale che fiorisce dalla Croce e
dalla Risurrezione di Cristo. Nel brano della Lettera di Giacomo,
appena proclamato, l’Apostolo invita ad attendere con costanza la venuta ormai prossima
del Signore e, in tale contesto, rivolge una particolare esortazione riguardante i
malati. Questa collocazione è molto interessante, perché rispecchia l’azione di Gesù,
che guarendo i malati mostrava la vicinanza del Regno di Dio. La malattia è vista
nella prospettiva degli ultimi tempi, con il realismo della speranza tipicamente cristiano.
“Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia, canti inni di lode” (Gc 5,13).
Sembra di sentire parole simili di san Paolo, quando invita a vivere ogni cosa in
relazione alla radicale novità di Cristo, alla sua morte e risurrezione (cfr 1 Cor
7,29-31). “Chi è malato, chiami presso di sé i presbiteri della Chiesa ed essi preghino
su di lui, ungendolo con olio nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede
salverà il malato” (Gc 5,14-15). Qui è evidente il prolungamento di Cristo nella sua
Chiesa: è ancora Lui che agisce, mediante i presbiteri; è il suo stesso Spirito che
opera mediante il segno sacramentale dell’olio; è a Lui che si rivolge la fede, espressa
nella preghiera; e, come accadeva alle persone guarite da Gesù, ad ogni malato si
può dire: la tua fede, sorretta dalla fede dei fratelli e delle sorelle, ti ha salvato. Da
questo testo, che contiene il fondamento e la prassi del sacramento dell’Unzione dei
malati, si ricava al tempo stesso una visione del ruolo dei malati nella Chiesa. Un
ruolo attivo nel “provocare”, per così dire, la preghiera fatta con fede. “Chi è malato,
chiami i presbiteri”. In questo Anno Sacerdotale, mi piace sottolineare il legame
tra i malati e i sacerdoti, una specie di alleanza, di “complicità” evangelica. Entrambi
hanno un compito: il malato deve “chiamare” i presbiteri, e questi devono rispondere,
per attirare sull’esperienza della malattia la presenza e l’azione del Risorto e del
suo Spirito. E qui possiamo vedere tutta l’importanza della pastorale dei malati,
il cui valore è davvero incalcolabile, per il bene immenso che fa in primo luogo al
malato e al sacerdote stesso, ma anche ai familiari, ai conoscenti, alla comunità
e, attraverso vie ignote e misteriose, a tutta la Chiesa e al mondo. In effetti, quando
la Parola di Dio parla di guarigione, di salvezza, di salute del malato, intende questi
concetti in senso integrale, non separando mai anima e corpo: un malato guarito dalla
preghiera di Cristo, mediante la Chiesa, è una gioia sulla terra e nel cielo, è una
primizia di vita eterna. Cari amici, come ho scritto nell’Enciclica
Spe salvi, “la misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la
sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società” (n. 30).
Istituendo un Dicastero dedicato alla pastorale sanitaria, la Santa Sede ha voluto
offrire il proprio contributo anche per promuovere un mondo più capace di accogliere
e curare i malati come persone. Ha voluto, infatti, aiutarli a vivere l’esperienza
dell’infermità in modo umano, non rinnegandola, ma offrendo ad essa un senso. Vorrei
concludere queste riflessioni con un pensiero del Venerabile Giovanni Paolo II, che
egli ha testimoniato con la propria vita. Nella Lettera apostolica Salvifici doloris
egli ha scritto: “Cristo allo stesso tempo ha insegnato all’uomo a far del bene con
la sofferenza e a far del bene a chi soffre. In questo duplice aspetto egli ha svelato
fino in fondo il senso della sofferenza” (n. 30). Ci aiuti la Vergine Maria a vivere
pienamente questa missione.