Il Papa nella Memoria della Beata Vergine di Lourdes: la misura dell’umanità si
determina nella cura che abbiamo per i malati
Nella Chiesa, i malati e i sofferenti sono testimoni dei prodigi dell’amore: è quanto
sottolineato da Benedetto XVI nella Messa celebrata stamani in San Pietro in occasione
della Memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes e nella 18.ma Giornata
Mondiale del Malato. La solenne celebrazione è stata preceduta dall’arrivo, nella
Basilica Vaticana, delle Reliquie di Santa Bernadette Soubirous, portate in processione
da Castel Sant’Angelo. Nell’omelia, il Papa ha ribadito la particolare sollecitudine
che la Chiesa assicura a quanti soffrono, segno dell’amore premuroso di Dio. Il servizio
di Alessandro Gisotti:
Canto: Salve,
O dolce Vergine
“La misura dell’umanità si determina essenzialmente
nel rapporto con la sofferenza e col sofferente”: Benedetto XVI riprende un passo
della Spe Salvi per sottolineare quanto la Chiesa abbia a cuore i malati. E all’inizio
della sua omelia, ricorda che la Chiesa “non può disattendere queste due opere essenziali:
evangelizzazione e cura dei malati nel corpo e nello spirito”:
“Noi
viviamo una gioia che non dimentica la sofferenza, anzi, la comprende. In questo modo
i malati e tutti i sofferenti sono nella Chiesa non solo destinatari di attenzione
e di cura, ma prima ancora e soprattutto protagonisti del pellegrinaggio della fede
e della speranza, testimoni dei prodigi dell’amore, della gioia pasquale che fiorisce
dalla Croce e dalla Risurrezione di Cristo”. Attraverso
i secoli, è la sua riflessione, la Chiesa “mostra i segni dell’amore di Dio, che continua
ad operare cose grandi nelle persone umili e semplici”. Non sono forse miracoli dell’amore,
si chiede il Papa, “la sofferenza accettata e offerta, la condivisione sincera e gratuita”.
E definisce miracolo “il coraggio di affrontare il male disarmati” con la sola “forza
della fede e della speranza nel Signore”. Un miracolo che “la grazia di Dio suscita
continuamente in tante persone che spendono tempo ed energie per aiutare chi soffre”.
Ricorda così il racconto evangelico della Visitazione che ci mostra come la Vergine
dopo l’annuncio dell’Angelo “non tenne per sé il dono ricevuto, ma partì subito per
andare ad aiutare l’anziana cugina Elisabetta”:
“Nel
sostegno offerto da Maria a questa parente che vive, in età avanzata, una situazione
delicata come la gravidanza, vediamo prefigurata tutta l’azione della Chiesa a sostegno
della vita bisognosa di cura”. “Quale prima e perfetta discepola
del suo Figlio”, constata il Papa, Maria, “Salute dei malati”, “ha sempre mostrato,
nell’accompagnare il cammino della Chiesa, una speciale sollecitudine per i sofferenti”,
come “danno testimonianza le migliaia di persone che si recano nei santuari mariani
per invocare la Madre di Cristo e trovano in lei forza e sollievo”. Quindi, si sofferma
sul “Magnificat”, il cantico della Vergine che "esalta le meraviglie di Dio nella
storia della salvezza”:
“Il Magnificat non è
il cantico di coloro ai quali arride la fortuna, che hanno sempre 'il vento in poppa';
è piuttosto il ringraziamento di chi conosce i drammi della vita, ma confida nell’opera
redentrice di Dio. È un canto che esprime la fede provata di generazioni di uomini
e donne che hanno posto in Dio la loro speranza e si sono impegnati in prima persona,
come Maria, per essere di aiuto ai fratelli nel bisogno”. Nel
Magnificat, afferma, “sentiamo la voce di tanti Santi e Sante della carità”. E aggiunge:
“Chi rimane a lungo vicino alle persone sofferenti, conosce l’angoscia e le lacrime,
ma anche il miracolo della gioia, frutto dell’amore”. Rivolge così il pensiero alla
maternità della Chiesa, “riflesso dell’amore premuroso di Dio”:
“Una
maternità che parla senza parole, che suscita nei cuori la consolazione, una gioia
intima, una gioia che paradossalmente convive con il dolore, con la sofferenza. La
Chiesa, come Maria, custodisce dentro di sé i drammi dell’uomo e la consolazione di
Dio, li tiene insieme, lungo il pellegrinaggio della storia”. Non
manca poi di richiamare “il ruolo dei malati nella Chiesa”. Un ruolo, che il Papa
definisce “attivo nel provocare, per così dire, la preghiera fatta con fede”:
“In
questo Anno Sacerdotale, mi piace sottolineare il legame tra i malati e i sacerdoti,
una specie di alleanza, di 'complicità' evangelica. Entrambi hanno un compito: il
malato deve 'chiamare' i presbiteri, e questi devono rispondere, per attirare sull’esperienza
della malattia la presenza e l’azione del Risorto e del suo Spirito”. Così,
prosegue il Papa, “possiamo vedere tutta l’importanza della pastorale dei malati,
il cui valore è davvero incalcolabile, per il bene immenso che fa in primo luogo al
malato e al sacerdote stesso, ma anche ai familiari” e “attraverso vie ignote e misteriose,
a tutta la Chiesa e al mondo”. Benedetto XVI ricorda quindi la nascita, 25 anni fa,
del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, voluto fortemente da Giovanni
Paolo II. E conclude l’omelia proprio con un pensiero di Karol Wojtyla, “che egli
– sottolinea – ha testimoniato con la propria vita”:
“Cristo
allo stesso tempo ha insegnato all’uomo a far del bene con la sofferenza e a far del
bene a chi soffre. In questo duplice aspetto egli ha svelato fino in fondo il senso
della sofferenza”
Oggi pomeriggio, alle 17.30, il Papa si affaccerà
dalla finestra del suo studio privato per benedire i fedeli che hanno partecipato
alla processione mariana in via della Conciliazione, con la statua della Madonna di
Lourdes. Tra gli animatori della processione c’è l’Unitalsi, Unione Nazionale Italiana
Trasporto Ammalati a Lourdes e Santuari Internazionali. Fabio Colagrande ha
raccolto la testimonianza di Alessandro Pinna, presidente Unitalsi di Roma:
R.
– Camminiamo insieme in un cammino di fede, cercando di far compiere quegli atti quotidiani
che le persone comuni compiono normalmente. Noi volontari ci mettiamo a disposizione
di queste persone per aiutarle a proseguire nel loro cammino nonostante la loro malattia
e la loro sofferenza.
D. – Che significato ha, per
voi dell’Unitalsi, la presenza di queste reliquie di Santa Bernadette a Roma?
R.
– Per noi dell’Unitalsi – in particolare noi volontari – è un modello di vita, servire
umilmente chi soffre, non mettersi in evidenza. Come diceva Bernadette: “Essere una
scopa, che nel momento in cui non serve più viene riposta dietro una porta”. Questo
dovrebbe essere il nostro modello come volontari dell’Unitalsi. L’emozione è sempre
molto forte. Anche in tanti volontari giovani, nel momento in cui la salutano, vedo
tante lacrime, tanta commozione di questi giovani. Si sente parlare sempre della gioventù
che non è vicina ai problemi, alla malattia e al volontariato. E’ una commozione veramente
forte.
D. – Volontario accanto alle persone che soffrono,
ai malati più gravi… Cosa ha imparato davvero?
R. – Ho
imparato che tante volte andiamo per aiutare e invece sono loro che aiutano noi. Ci
danno una lezione di vita immensa. (Montaggio a cura di Maria Brigini)