Concluso il Simposio sull'ecumenismo: intervista con il vescovo anglicano Tom Wright
Si è chiuso ieri a Roma, un Simposio sull’ecumenismo promosso dal Pontificio Consiglio
per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Rappresentanti cattolici, luterani, anglicani,
riformati e metodisti hanno fatto il bilancio di 40 anni di dialogo ecumenico. Durante
l’incontro è stata messa in luce la necessità di una testimonianza comune dei cristiani
nel mondo secolarizzato di oggi. Philippa Hitchen ne ha parlato col vescovo
anglicano Tom Wright: R.
– I think there are many complexities… Penso che ci siano molte difficoltà
nella vita di tutte le Chiese di oggi perché, come tutti sappiamo, c’è stata una sorta
di frammentazione che alcune persone chiamano “post-modernismo”, per cui ognuno dice
tutto e il contrario di tutto; la domanda quindi è: chi parla con autorità a nome
della Chiesa? E questo accade non solo all’interno dell’anglicanesimo. Ci sono voci
diverse e noi dobbiamo tentare di capire se queste voci sono compatibili l’una con
l’altra. In un certo senso, ogni Chiesa è una sorta di movimento ecumenico in miniatura:
ha la sua ala destra, la sua ala sinistra, i tradizionalisti, i radicali o comunque
si vogliano chiamare. Ovviamente, la Comunione anglicana si è trovata a lavare i suoi
panni sporchi in pubblico negli ultimi anni e questo, sfortunatamente, per molte ragioni.
Questo significa che altre Chiese, guardando a noi, dicano: “quando parliamo con gli
anglicani, non siamo sicuri con chi stiamo parlando!”. Tutto quello che possiamo dire
come anglicani in questo momento è che abbiamo dei cosiddetti “strumenti” di comunione
come l’arcivescovo di Canterbury, la Conferenza di Lambeth, l’incontro dei Primati,
l’Anglican Consultative Council, che hanno mantenuto una linea costante
su alcune questioni chiave; quindi, se si parla dall’interno di quel vasto consenso
si può rivendicare il diritto di parlare per la Comunione anglicana, anche se qualunque
cosa tu dica, sai che qualcuno dietro l’angolo dirà “quella non è la mia visione”.
D.
– Lei considera tutto questo come un chiaro danno per il dialogo: per questo la Chiesa
cattolica vede nel Papato un ministero di unità…
R.
– Yes, that’s true, … Sì, è vero, sebbene il modo in cui il Papato rappresenti
questo ruolo e lo abbia esercitato in realtà è cambiato nel corso dei tempi. La questione
dell’autorità all’interno della Chiesa è assolutamente cruciale. Noi sappiamo che
l’autorità appartiene a Dio in Gesù Cristo: la questione è come si realizzi questa
autorità. Per gli anglicani si manifesta in molti modi, e tra questi la lettura comunitaria
delle Scritture è veramente cruciale.
D. – Lei vede
una tensione tra Scritture e Tradizione?
R. – It
isn’t a tension … Non è una tensione tra le Scritture e la Tradizione. C’è
un’interrelazione dinamica. Una delle grandi definizioni della Tradizione – credo
che risalga a Tommaso d’Aquino – è: “la Tradizione è quello che ottieni quando la
Chiesa medita sui significati delle Scritture”. Quindi, la tradizione è la saggezza
che la Chiesa ha accumulato attraverso la lettura delle Scritture. Secondo gli anglicani
la Chiesa deve essere pronta a rivedere la sua Tradizione alla luce delle Scritture.
E questo non significa che la Tradizione non sia una buona cosa: la Tradizione è necessaria,
ma tra Tradizione e Scritture deve esserci scambio continuo. Per esempio se nella
tua Tradizione ti ritrovi a fare affermazioni che potrebbero mettere in discussione
alcuni contenuti delle Scritture stesse, allora devi anche dire: “Forse non è lo Spirito
che ci ha portato a questo punto. Forse questo è lo spirito del tempo o della nostra
cultura”. La relazione d’apertura del cardinale Kasper è stata molto chiara quando
ha detto che tutti noi dobbiamo cambiare, dobbiamo muoverci, nessuno può semplicemente
sedere con le braccia conserte, aspettando di essere raggiunto dall’illuminazione.
Penso che a questo proposito, ogni Chiesa meriti di essere affettuosamente rimproverata.
Tutti dobbiamo dire: “Ok, qui e là abbiamo fatto un po’ di confusione, ma tutti confessiamo
l’unico Dio in Gesù Cristo, tutti leggiamo le stesse Scritture. Quindi, andiamo avanti,
secondo gli accordi raggiunti, e non indietro, andiamo avanti in missione, su queste
basi.
D. – Nel Simposio avete fatto un bilancio
di 40 anni di dialogo ecumenico. Cosa intendono gli anglicani per obiettivo dell’unità?
R.
– I think, 40 years ago … Penso che 40 anni fa vivevamo ancora in quello
che si potrebbe chiamare un “sogno modernista”: il mondo si univa, tutti ci univamo
ed era meraviglioso. E questo era il grande sogno anche della Conferenza Missionaria
di cento anni fa, ad Edimburgo, nel 1910. Lei pensi all’ottimismo dell’Occidente,
a quei tempi, mandato in frantumi poi dalla Prima Guerra Mondiale. In un certo senso,
gli eventi del XX secolo hanno frantumato quest’ottimismo. Oggi ci troviamo in un
mondo molto diverso e credo che tutti noi siamo consapevoli del fatto che una maggiore
intesa tra di noi sarebbe veramente una buona cosa. Ma siamo solo all’inizio!