2010-02-09 15:11:28

La morte di Eluana un anno dopo. Mons. Fisichella: vicenda triste e strumentalizzata


Diciassette anni e 31 giorni trascorsi nella condizione di cosiddetto “stato vegetativo”. Poi la morte, sopraggiunta per interruzione dell’idratazione e dell’alimentazione artificiali. Il 9 febbraio di un anno fa si spegneva così Eluana Englaro, la donna italiana di Lecco che entrò in coma in seguito a un incidente stradale nel 1992. La sentenza della Cassazione che nel novembre 2008 accolse definitivamente la volontà del padre di Eluana, Beppino Englaro, di interrompere il sostentamento artificiale per la figlia fu preceduta e seguita da un acceso dibattito a livello politico e sociale mai del tutto sopito. Un dibattito che produsse l’avvio dell’iter parlamentare di una legge sul fine vita rimasto però tuttora in fase di stallo. Fabio Colagrande ha chiesto all’arcivescovo Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, quali siano i suoi attuali sentimenti sulla vicenda:RealAudioMP3
 
R. – Innanzitutto, ancora tanta tristezza e tanta amarezza. Tristezza e amarezza perché innanzitutto è morta una ragazza nel peggiore dei modi. Una pagina certamente triste nella storia del nostro Paese, perché per una sentenza è stata tolta idratazione e alimentazione a una ragazza in cosiddetto “stato vegetativo”. Una tristezza che oggi diventa in qualche modo ancora più forte, per due fatti. Il primo, perché si è capito ancora di più che questa vicenda è stata strumentalizzata nel peggiore dei modi, per l’affermazione di un principio che contraddice l’intero impianto e sistema giuridico, che è invece quello dell’inviolabilità e indisponibilità della vita umana. Ma una tristezza che diventa ancora più forte perché proprio in questi giorni, finalmente, si incomincia a conoscere ancora di più la verità scientifica che contraddice molti commentatori “tuttologi” che nei mesi passati volevano far credere che le persone in stato vegetativo non hanno alcuna attività cerebrale. Davanti a questi fatti, io non posso che ribadire un impegno costante che la Chiesa, la comunità cristiana, continuerà, perché non abbia mai a perdersi di vista il bene più prezioso che noi abbiamo da custodire e da promuovere fedelmente.

 
D. – Eppure, c’è ancora chi considera la figura di Eluana un po’ come un simbolo della vittoria della libertà individuale, rispetto ad uno Stato che vuole imporre delle regole sulla vita …

 
R. – Una libertà individuale che deve contraddire, di fatto, l’impianto su cui una società vive, si relaziona, credo che abbia una visione poco lungimirante. Se diventiamo esclusivamente difensori di libertà individuali, la prima ad entrare in crisi è la stessa società, è lo Stato, perché significa che non esiste più una realtà di persone che si relazionano tra di loro, ma esiste solo ed esclusivamente la prepotenza del più forte sul più debole.

 
D. – Le decisioni dei tribunali che portarono poi alla morte di Eluana Englaro, furono prese in Italia in presenza di un vuoto legislativo. Ad un anno dalla morte di Eluana, il disegno di legge sul fine-vita è ancora fermo in Parlamento. Quali riflessioni fare?

 
R. – Innanzitutto, io ribadisco la dimensione di grande sorpresa nel dovere costantemente valutare un ingresso – direi a gamba tesa! – di alcuni organi della magistratura davanti non solo a dei vuoti legislativi, ma anche a interpretazioni della legge che non corrispondono affatto né alla lettera né allo spirito della legge. Penso, ad esempio, in questo momento a quello che è la legge 40 in Italia. Certamente, il vuoto legislativo non si può riempire attraverso sentenze, obbligando il Parlamento ad intervenire con fretta per evitare casi simili e non permettendo che ci sia un confronto tra le diverse posizioni, anche ideologiche, che inevitabilmente sono presenti in una società multiculturale. Quello che bisogna notare è che dopo un incremento alla legge realizzata in prima lettura al Senato, al momento – da quanto io conosco – la legge sta procedendo nella Commissione alla Camera dei Deputati e si presume, si spera!, che possa presto diventare legge dello Stato in quanto, in questo modo, si potrà garantire a tante persone che nel nostro Paese sono in questa condizione di cosiddetto “stato vegetativo”, non soltanto di poter avere un aiuto concreto, ma di poter anche essere consapevoli che lo Stato e che la società non li abbandona.

 
E’ necessario che il Parlamento non affermi un principio eutanasico a tutto appannaggio della tutela della vita fino al suo termine naturale. Così il professor Lucio Romano, presidente dell’Associazione Scienza e Vita. Massimiliano Menichetti lo ha intervistato:RealAudioMP3

R. – E’ assolutamente necessario che si arrivi ad una definizione, per quanto riguarda il disegno di legge che è stato già approvato al Senato e che attualmente è in discussione alla Camera; perché le derive cui si potrebbe andare incontro sono facilmente prevedibili: vale a dire quella del riconoscimento assoluto di un principio di autodeterminazione incompatibile con il principio fondamentale, altrettanto riconosciuto - ad esempio - nella Costituzione italiana, del diritto alla vita.

 
D. – Quali sono i punti principali che non devono essere derogati in questo dibattito?

 
R. – Il primo è la non vincolabilità per i medici delle dichiarazioni anticipate di trattamento, e dall’altro, riconoscere il dato inconfutabile che alimentazione ed idratazione assistite non rappresentano una terapia ma essenzialmente un sostegno vitale.

 
D. – Per quanto riguarda il dibattito parlamentare strettamente: secondo lei, c’è stato un rallentamento o si vuole arrivare ad una definizione rapida?

 
R. – Indubbiamente, c’è stato un rallentamento; adesso si ritiene che la legge possa essere approvata prima dell’estate e sicuramente si ritiene di rimandare l’ulteriore discussione a dopo l’elezione di fine marzo. Senza dubbio, le dimensioni partitiche possono andare ad influenzare questa dialettica, e credo che sia veramente opportuno l'approfondimento su questo tema e l'assunzione di responsabilità, così come fu fatto - circa un anno fa - l'avallo nel definire in maniera inequivocabile e chiara il diritto alla vita e non la ratifica di una surrogata azione di ordine eutanasico.

 
D. – Quanto è importante anche tutto quello che riguarda le cure palliative, l'assistenza ai malati in condizioni estreme, come può essere quella di un tetraplegico oppure di chi è in stato vegetativo persistente? Quanto è importante creare anche una rete di sostegno per i familiari e per i malati?

 
R. – E’ assolutamente necessario che si intervenga in maniera molto concreta per quanto riguarda tutto il tema che già è in avanzata fase di realizzazione a livello parlamentare, sulla ratifica delle cure palliative. Ma sembra anche che il ministero della salute sia ampiamente intenzionato a mettere in essere dei provvedimenti idonei ad assicurare l’assistenza ai familiari, in quanto non pienamente in grado di poter svolgere la funzione di vicinanza e di aiuto nei confronti dei familiari. E qui si segna realmente una civiltà etica, qui si segna veramente il "plus" di una società che, più che sopprimere, si avvicini alle stesse persone con gravi disabilità e che quindi le accompagni nel pieno rispetto della loro identità umana e nel riconoscimento dell’intrinseca dignità della vita.







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