2010-02-04 14:47:01

Quattro anni fa l'uccisione di don Andrea Santoro: il ricordo della sorella e di mons. Marciante


Ricorre domani il quarto anniversario della scomparsa di don Andrea Santoro, il sacerdote fidei donum della diocesi di Roma, ucciso nella chiesa di Santa Maria a Trebisonda (Trazbon), in Turchia, il 5 febbraio 2006. In questi giorni è in corso un pellegrinaggio proprio a Trazbon organizzato dall’Associazione intitolata al missionario al quale parteciperà anche mons. Luigi Padovese, vicario apostolico in Anatolia. Davide Dionisi ha raggiunto al telefono la sorella di don Andrea, Maddalena Santoro, anche lei in Turchia per il pellegrinaggio, che ribadisce quanto ancora sia vivo il ricordo del presbitero:RealAudioMP3

"E' forte perché tutti coloro che l'hanno conosciuto - quindi da quando era un giovane sacerdote, dal 1970, fino agli ultimi che l'hanno conosciuto - hanno sentito questa forte presenza della fede di Andrea. Una presenza veramente carica di Cristo, al quale lui voleva somigliare e questa carica di fede, di amore per Cristo Andrea la trasmetteva. L'ha trasmessa quand'era giovane e poi anche attraverso un suo pellegrinare, una purificazione che leggiamo anche nel suo diario. Anche nel 1980, dopo dieci anni di sacerdozio, questo cammino anche spirituale ha fatto risplendere ancora di più quest'amore per Cristo e per ciascuno di coloro che incontrava, soprattutto i più bisognosi, che si rivolgevano a lui a qualunque ora del giorno e della notte e trovavano sempre apertura, accoglienza e soccorso".

Questa sera don Andrea verrà ricordato con una veglia di preghiera nella parrocchia romana dei Santi Fabiano e Venanzio presieduta dal vescovo ausiliare del settore est della capitale, mons. Giuseppe Marciante. Il presule ripercorre così le tappe del cammino vocazionale del missionario originario della provincia di Latina:

R. – Un sacerdote profondamente convinto del suo ministero. Mi piaceva la sua capacità di coinvolgere la sua comunità parrocchiale in ogni iniziativa. Rivelava da una parte i tratti dell’eremita e dall’altra quelli del missionario. In lui c’era un profondo desiderio, quello di ritornare nella terra delle origini del cristianesimo: un ritorno alle radici della fede, anche direi del suo sacerdozio. Ho letto nei suoi interventi il profondo desiderio di ritrovare nella terra dei padri la freschezza del Vangelo e la vivacità anche delle chiese primitive. Doveva anche misurarsi con il mondo musulmano. La sua morte mi ha profondamente impressionato, perché mi sembra che abbia rivelato in profondità la carica profetica della sua esperienza.

 
D. – Il suo sacrificio non è stato vano...

 
R. – Don Andrea, come Abramo, ha sentito una chiamata, la chiamata di Dio, espressa in modo particolare nell’attrazione per la terra dei padri. E penso che un profeta non abbia progetti personali. L’ho visto come un uomo di fede che rivela nella coscienza che il progetto della sua vita stava nelle mani di Dio, e si è affidato alla sua parola e alla sua promessa. Mi ricordo un giornalista che un giorno chiese a don Andrea quale fosse il sogno che affidava al Signore negli anni a venire e, in quell’occasione, don Andrea rispose: “Il mio sogno è che i sogni di Dio si realizzino”; e poi aggiunse: “e che si realizzino piccole luci sparse qui e lì, che rendano semplicemente presente il nome di Gesù e che siano piccoli fermenti di incontro, di riconciliazione, di dialogo e di mutua testimonianza fra ebrei, musulmani e cristiani, in piccole comunità, che risplendano in mezzo agli uomini, perché comunità unite dalla parola, unite dalla preghiera e alimentate dall’Eucaristia". La Parola di Dio, gustata da don Andrea, e vissuta nella terra di Dio, penso sia stata il fuoco interiore che lo ha animato. Ha avuto, secondo me, il tempo di accendere questo fuoco, ma nell’accenderlo è divenuto lui stesso una fiaccola ardente, con la sua morte. (Montaggio a cura di Maria Brigini)







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