Quattro anni fa l'uccisione di don Andrea Santoro: il ricordo della sorella e di mons.
Marciante
Ricorre domani il quarto anniversario della scomparsa di don Andrea Santoro, il sacerdote
fidei donum della diocesi di Roma, ucciso nella chiesa di Santa Maria a Trebisonda
(Trazbon), in Turchia, il 5 febbraio 2006. In questi giorni è in corso un pellegrinaggio
proprio a Trazbon organizzato dall’Associazione intitolata al missionario al quale
parteciperà anche mons. Luigi Padovese, vicario apostolico in Anatolia. Davide
Dionisi ha raggiunto al telefono la sorella di don Andrea, Maddalena Santoro,
anche lei in Turchia per il pellegrinaggio, che ribadisce quanto ancora sia vivo il
ricordo del presbitero:
"E' forte
perché tutti coloro che l'hanno conosciuto - quindi da quando era un giovane sacerdote,
dal 1970, fino agli ultimi che l'hanno conosciuto - hanno sentito questa forte presenza
della fede di Andrea. Una presenza veramente carica di Cristo, al quale lui voleva
somigliare e questa carica di fede, di amore per Cristo Andrea la trasmetteva. L'ha
trasmessa quand'era giovane e poi anche attraverso un suo pellegrinare, una purificazione
che leggiamo anche nel suo diario. Anche nel 1980, dopo dieci anni di sacerdozio,
questo cammino anche spirituale ha fatto risplendere ancora di più quest'amore per
Cristo e per ciascuno di coloro che incontrava, soprattutto i più bisognosi, che si
rivolgevano a lui a qualunque ora del giorno e della notte e trovavano sempre apertura,
accoglienza e soccorso".
Questa sera don Andrea verrà ricordato con
una veglia di preghiera nella parrocchia romana dei Santi Fabiano e Venanzio presieduta
dal vescovo ausiliare del settore est della capitale, mons. Giuseppe Marciante.
Il presule ripercorre così le tappe del cammino vocazionale del missionario originario
della provincia di Latina:
R. – Un sacerdote profondamente convinto
del suo ministero. Mi piaceva la sua capacità di coinvolgere la sua comunità parrocchiale
in ogni iniziativa. Rivelava da una parte i tratti dell’eremita e dall’altra quelli
del missionario. In lui c’era un profondo desiderio, quello di ritornare nella terra
delle origini del cristianesimo: un ritorno alle radici della fede, anche direi del
suo sacerdozio. Ho letto nei suoi interventi il profondo desiderio di ritrovare nella
terra dei padri la freschezza del Vangelo e la vivacità anche delle chiese primitive.
Doveva anche misurarsi con il mondo musulmano. La sua morte mi ha profondamente impressionato,
perché mi sembra che abbia rivelato in profondità la carica profetica della sua esperienza.
D.
– Il suo sacrificio non è stato vano...
R. – Don
Andrea, come Abramo, ha sentito una chiamata, la chiamata di Dio, espressa in modo
particolare nell’attrazione per la terra dei padri. E penso che un profeta non abbia
progetti personali. L’ho visto come un uomo di fede che rivela nella coscienza che
il progetto della sua vita stava nelle mani di Dio, e si è affidato alla sua parola
e alla sua promessa. Mi ricordo un giornalista che un giorno chiese a don Andrea quale
fosse il sogno che affidava al Signore negli anni a venire e, in quell’occasione,
don Andrea rispose: “Il mio sogno è che i sogni di Dio si realizzino”; e poi aggiunse:
“e che si realizzino piccole luci sparse qui e lì, che rendano semplicemente presente
il nome di Gesù e che siano piccoli fermenti di incontro, di riconciliazione, di dialogo
e di mutua testimonianza fra ebrei, musulmani e cristiani, in piccole comunità, che
risplendano in mezzo agli uomini, perché comunità unite dalla parola, unite dalla
preghiera e alimentate dall’Eucaristia". La Parola di Dio, gustata da don Andrea,
e vissuta nella terra di Dio, penso sia stata il fuoco interiore che lo ha animato.
Ha avuto, secondo me, il tempo di accendere questo fuoco, ma nell’accenderlo è divenuto
lui stesso una fiaccola ardente, con la sua morte. (Montaggio a cura di
Maria Brigini)