Mons. Negri: amore per Cristo e fraternità contro la tentazione della carriera e del
potere nella Chiesa
Il fuoco missionario di San Domenico e la tentazione della carriera e del potere anche
in coloro che hanno un ruolo all’interno della Chiesa sono alcuni dei temi che ieri
il Papa ha affrontato nella sua catechesi durante l’udienza generale in Aula Paolo
VI. Proprio su quest’ultimo punto ascoltiamo la riflessione di mons. Luigi Negri,
vescovo di San Marino-Montefeltro al microfono di Benedetta Capelli:
R. – Io
credo che un invito pressante sul piano spirituale, come quello che il Papa ha fatto
ieri e non per la prima volta, debba trovare tutti gli ecclesiastici in una posizione
di reale e sereno ascolto, con una vera volontà di immedesimazione con quello che
il Santo Padre testimonia e dice. E’ indubbio che, come ci ha ricordato bene San Tommaso
d’Aquino, un uomo ha nella vita un affetto fondamentale che lo lega all’essere, a
Dio e agli altri: è Cristo l’affetto esauriente della nostra esistenza. Tutti gli
altri affetti si ordinano e diventano legittimi e addirittura buoni e positivi se
vengono illuminati e guidati dall’affetto verso Cristo. Io lo dico con fatica, ma
non posso non dirlo, che vedo poco amore verso Gesù Cristo in certi spazi ecclesiastici.
E’ inevitabile che quando c’è poco amore a Gesù Cristo altri amori ci prendano e addirittura
mobilitino le nostre esistenze, le nostre energie, così che diventiamo uno spettacolo
ben miserevole di fronte al mondo, che ci usa e ci irride.
D.
– A volte ci può essere una sottile tentazione, cedendo alla quale, pian piano, il
servizio si trasforma in potere. Come smascherare questo pericolo?
R.
– Io penso che una vera fraternità possa essere un luogo dove uno si consegna in qualche
modo con sincerità, a cui comunica la propria vita, le proprie difficoltà, e quindi
può sentirsi corretto. C’è però una grande solitudine. Se si coltiva una vita ecclesiastica
solitaria, si diventa molto più vulnerabili di fronte alle tentazioni del demonio.
D.
– Talvolta, nell’opinione di molti, la Chiesa, il Vaticano, il sacerdote, sono nomi
legati proprio alla parola “potere”. Cosa rispondere?
R.
– Dando una testimonianza che si può essere preti, vescovi, cardinali, impegnati nella
responsabilità della guida della diocesi in modo disinteressato. Disinteressato vuol
dire totalmente innamorato di Cristo, perché il valore non è non avere affetti, ma
avere l’affetto giusto. Io penso che la gran parte degli ecclesiastici non siano nella
condizione descritta dal Santo Padre. Purtroppo, tre o quattro che tralignano buttano
ombra anche sui molti buoni.
D. – San Francesco e
San Domenico, di cui il Papa ha parlato nelle ultime catechesi, cosa ci insegnano
allora?
R. – Loro hanno fatto una grande riforma
culturale della Chiesa: hanno riproposto l’Evangelo nella sua radicalità come vita
di fede e nella sua capacità di espansione dal punto di vista sociale. San Francesco
ha riproposto quell’umanesimo cristiano. San Domenico ha dato come contenuto, a questo
umanesimo cristiano, la cultura. Noi viviamo di questa ricchezza che è stata in questi
grandi fondatori e dobbiamo riviverli noi come una presenza nella Chiesa, non semplicemente
come un ricordo del passato. Ed è esattamente questo, mi sembra, l’intendimento del
Santo Padre durante l’udienza.