Il Papa all’udienza generale: nella Chiesa bruci il fuoco missionario di San Domenico.
Testo della catechesi
Il Papa nella sua catechesi odierna all’udienza generale, tenuta nell’Aula Paolo VI
in Vaticano, ha parlato di San Domenico. “Questo grande santo – ha detto - ci rammenta
che nel cuore della Chiesa deve sempre bruciare un fuoco missionario, il quale spinge
incessantemente a portare il primo annuncio del Vangelo e, dove necessario, ad una
nuova evangelizzazione: è Cristo, infatti, il bene più prezioso che gli uomini e le
donne di ogni tempo e di ogni luogo hanno il diritto di conoscere e di amare! Ed è
consolante vedere come anche nella Chiesa di oggi sono tanti – pastori e fedeli laici,
Membri di antichi ordini religiosi e di nuovi movimenti ecclesiali – che con gioia
spendono la loro vita per questo ideale supremo: annunciare e testimoniare il Vangelo!”.
Il Papa ha poi ricordato quando San Domenico fu eletto canonico del capitolo della
Cattedrale nella sua diocesi di origine, Osma. "Anche se questa nomina - ha detto
- poteva rappresentare per lui qualche motivo di prestigio nella Chiesa e nella società,
egli non la interpretò come un privilegio personale, né come l’inizio di una brillante
carriera ecclesiastica, ma come un servizio da rendere con dedizione e umiltà. Non
è forse una tentazione quella della carriera, del potere, una tentazione da cui non
sono immuni neppure coloro che hanno un ruolo di animazione e di governo nella Chiesa?
Lo ricordavo qualche mese fa, durante la consacrazione di alcuni Vescovi: 'Non cerchiamo
potere, prestigio, stima per noi stessi. Sappiamo come le cose nella società civile,
e, non di rado nella Chiesa, soffrono per il fatto che molti di coloro ai quali è
stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità'”.Ecco il testo della catechesi:
Cari fratelli e sorelle, la
settimana scorsa ho presentato la luminosa figura di Francesco d’Assisi, quest’oggi
vorrei parlarvi di un altro santo che, nella stessa epoca, ha dato un contributo fondamentale
al rinnovamento della Chiesa del suo tempo. Si tratta di san Domenico, il fondatore
dell’Ordine dei Predicatori, noti anche come Frati Domenicani. Il
suo successore nella guida dell’Ordine, il beato Giordano di Sassonia, offre un ritratto
completo di san Domenico nel testo di una famosa preghiera: “Infiammato dello zelo
di Dio e di ardore soprannaturale, per la tua carità senza confini e il fervore dello
spirito veemente ti sei consacrato tutt’intero col voto della povertà perpetua all’osservanza
apostolica e alla predicazione evangelica”. E’ proprio questo tratto fondamentale
della testimonianza di Domenico che viene sottolineato: parlava sempre con Dio e di
Dio. Nella vita dei santi, l’amore per il Signore e per il prossimo, la ricerca della
gloria di Dio e della salvezza delle anime camminano sempre insieme. Domenico
nacque in Spagna, a Caleruega, intorno al 1170. Apparteneva a una nobile famiglia
della Vecchia Castiglia e, sostenuto da uno zio sacerdote, si formò in una celebre
scuola di Palencia. Si distinse subito per l’interesse nello studio della Sacra Scrittura
e per l’amore verso i poveri, al punto da vendere i libri, che ai suoi tempi costituivano
un bene di grande valore, per soccorrere, con il ricavato, le vittime di una carestia.
Ordinato sacerdote, fu eletto canonico del capitolo della
Cattedrale nella sua diocesi di origine, Osma. Anche se questa nomina poteva rappresentare
per lui qualche motivo di prestigio nella Chiesa e nella società, egli non la interpretò
come un privilegio personale, né come l’inizio di una brillante carriera ecclesiastica,
ma come un servizio da rendere con dedizione e umiltà. Non è forse una tentazione
quella della carriera, del potere, una tentazione da cui non sono immuni neppure coloro
che hanno un ruolo di animazione e di governo nella Chiesa? Lo ricordavo qualche mese
fa, durante la consacrazione di alcuni Vescovi: “Non cerchiamo potere, prestigio,
stima per noi stessi. Sappiamo come le cose nella società civile, e, non di rado nella
Chiesa, soffrono per il fatto che molti di coloro ai quali è stata conferita una responsabilità,
lavorano per se stessi e non per la comunità” (Omelia. Cappella Papale per l’Ordinazione
episcopale di cinque Ecc.mi Presuli, 12 Settembre 2009). Il
Vescovo di Osma, che si chiamava Diego, un vero e zelante pastore, notò ben presto
le qualità spirituali di Domenico, e volle avvalersi della sua collaborazione. Insieme
si recarono nell’Europa del Nord, per compiere missioni diplomatiche affidate loro
dal re di Castiglia. Viaggiando, Domenico si rese conto di due enormi sfide per la
Chiesa del suo tempo: l’esistenza di popoli non ancora evangelizzati, ai confini settentrionali
del continente europeo, e la lacerazione religiosa che indeboliva la vita cristiana
nel Sud della Francia, dove l’azione di alcuni gruppi eretici creava disturbo e l’allontanamento
dalla verità della fede. L’azione missionaria verso chi non conosce la luce del Vangelo
e l’opera di rievangelizzazione delle comunità cristiane divennero così le mète apostoliche
che Domenico si propose di perseguire. Fu il Papa, presso il quale il Vescovo Diego
e Domenico si recarono per chiedere consiglio, che domandò a quest’ultimo di dedicarsi
alla predicazione agli Albigesi, un gruppo eretico che sosteneva una concezione dualistica
della realtà, cioè con due principi creatori ugualmente potenti, il Bene e il Male.
Questo gruppo, di conseguenza, disprezzava la materia come proveniente dal principio
del male, rifiutando anche il matrimonio, fino a negare l’incarnazione di Cristo,
i sacramenti nei quali il Signore ci “tocca” tramite la materia, e la risurrezione
dei corpi. Gli Albigesi stimavano la vita povera e austera – in questo senso erano
anche esemplari – e criticavano la ricchezza del Clero di quel tempo. Domenico accettò
con entusiasmo questa missione, che realizzò proprio con l’esempio della sua esistenza
povera e austera, con la predicazione del Vangelo e con dibattiti pubblici. A questa
missione di predicare la Buona Novella egli dedicò il resto della sua vita. I suoi
figli avrebbero realizzato anche gli altri sogni di san Domenico: la missione ad gentes,
cioè a coloro che ancora non conoscevano Gesù, e la missione a coloro che vivevano
nelle città, soprattutto quelle universitarie, dove le nuove tendenze intellettuali
erano una sfida per la fede dei colti. Questo grande santo
ci rammenta che nel cuore della Chiesa deve sempre bruciare un fuoco missionario,
il quale spinge incessantemente a portare il primo annuncio del Vangelo e, dove necessario,
ad una nuova evangelizzazione: è Cristo, infatti, il bene più prezioso che gli uomini
e le donne di ogni tempo e di ogni luogo hanno il diritto di conoscere e di amare!
Ed è consolante vedere come anche nella Chiesa di oggi sono tanti – pastori e fedeli
laici, membri di antichi ordini religiosi e di nuovi movimenti ecclesiali – che con
gioia spendono la loro vita per questo ideale supremo: annunciare e testimoniare il
Vangelo! A Domenico di Guzman si associarono poi altri uomini,
attratti dalla stessa aspirazione. In tal modo, progressivamente, dalla prima fondazione
di Tolosa, ebbe origine l’Ordine dei Predicatori. Domenico, infatti, in piena obbedienza
alle direttive dei Papi del suo tempo, Innocenzo III e Onorio III, adottò l’antica
Regola di sant’Agostino, adattandola alle esigenze di vita apostolica, che portavano
lui e i suoi compagni a predicare spostandosi da un posto all’altro, ma tornando,
poi, ai propri conventi, luoghi di studio, preghiera e vita comunitaria. In particolar
modo, Domenico volle dare rilievo a due valori ritenuti indispensabili per il successo
della missione evangelizzatrice: la vita comunitaria nella povertà e lo studio. Anzitutto,
Domenico e i Frati Predicatori si presentavano come mendicanti, cioè senza vaste proprietà
di terreni da amministrare. Questo elemento li rendeva più disponibili allo studio
e alla predicazione itinerante e costituiva una testimonianza concreta per la gente.
Il governo interno dei conventi e delle provincie domenicane si strutturò sul sistema
di capitoli, che eleggevano i propri Superiori, confermati poi dai Superiori maggiori;
un’organizzazione, quindi, che stimolava la vita fraterna e la responsabilità di tutti
i membri della comunità, esigendo forti convinzioni personali. La scelta di questo
sistema nasceva proprio dal fatto che i Domenicani, come predicatori della verità
di Dio, dovevano essere coerenti con ciò che annunciavano. La verità studiata e condivisa
nella carità con i fratelli è il fondamento più profondo della gioia. Il beato Giordano
di Sassonia dice di san Domenico: “Egli accoglieva ogni uomo nel grande seno della
carità e, poiché amava tutti, tutti lo amavano. Si era fatto una legge personale di
rallegrarsi con le persone felici e di piangere con coloro che piangevano” (Libellus
de principiis Ordinis Praedicatorum autore Iordano de Saxonia, ed. H.C. Scheeben,
[Monumenta Historica Sancti Patris Nostri Dominici, Romae, 1935]). In
secondo luogo, Domenico, con un gesto coraggioso, volle che i suoi seguaci acquisissero
una solida formazione teologica, e non esitò a inviarli nelle Università del tempo,
anche se non pochi ecclesiastici guardavano con diffidenza queste istituzioni culturali.
Le Costituzioni dell’Ordine dei Predicatori danno molta importanza allo studio come
preparazione all’apostolato. Domenico volle che i suoi Frati vi si dedicassero senza
risparmio, con diligenza e pietà; uno studio fondato sull’anima di ogni sapere teologico,
cioè sulla Sacra Scrittura, e rispettoso delle domande poste dalla ragione. Lo sviluppo
della cultura impone a coloro che svolgono il ministero della Parola, ai vari livelli,
di essere ben preparati. Esorto dunque tutti, pastori e laici, a coltivare questa
“dimensione culturale” della fede, affinché la bellezza della verità cristiana possa
essere meglio compresa e la fede possa essere veramente nutrita, rafforzata e anche
difesa. In quest’Anno Sacerdotale, invito i seminaristi e i sacerdoti a stimare il
valore spirituale dello studio. La qualità del ministero sacerdotale dipende anche
dalla generosità con cui ci si applica allo studio delle verità rivelate. Domenico,
che volle fondare un Ordine religioso di predicatori-teologi, ci rammenta che la teologia
ha una dimensione spirituale e pastorale, che arricchisce l’animo e la vita. I sacerdoti,
i consacrati e anche tutti i fedeli possono trovare una profonda “gioia interiore”
nel contemplare la bellezza della verità che viene da Dio, verità sempre attuale e
sempre viva. Il motto dei Frati Predicatori - contemplata aliis tradere – ci aiuta
a scoprire, poi, un anelito pastorale nello studio contemplativo di tale verità, per
l’esigenza di comunicare agli altri il frutto della propria contemplazione. Quando
Domenico morì nel 1221, a Bologna, la città che lo ha dichiarato patrono, la sua opera
aveva già avuto grande successo. L’Ordine dei Predicatori, con l’appoggio della Santa
Sede, si era diffuso in molti Paesi dell’Europa a beneficio della Chiesa intera. Domenico
fu canonizzato nel 1234, ed è lui stesso che, con la sua santità, ci indica due mezzi
indispensabili affinché l’azione apostolica sia incisiva. Anzitutto, la devozione
mariana, che egli coltivò con tenerezza e che lasciò come eredità preziosa ai suoi
figli spirituali, i quali nella storia della Chiesa hanno avuto il grande merito di
diffondere la preghiera del santo Rosario, così cara al popolo cristiano e così ricca
di valori evangelici, una vera scuola di fede e di pietà. In secondo luogo, Domenico,
che si prese cura di alcuni monasteri femminili in Francia e a Roma, credette fino
in fondo al valore della preghiera di intercessione per il successo del lavoro apostolico.
Solo in Paradiso comprenderemo quanto la preghiera delle claustrali accompagni efficacemente
l’azione apostolica! A ciascuna di esse rivolgo il mio pensiero grato e affettuoso. Cari
fratelli e sorelle, la vita di Domenico di Guzman sproni noi tutti ad essere ferventi
nella preghiera, coraggiosi a vivere la fede, profondamente innamorati di Gesù Cristo.
Per sua intercessione, chiediamo a Dio di arricchire sempre la Chiesa di autentici
predicatori del Vangelo.