Anno Sacerdotale: la testimonianza di un cappellano di bordo
Per la nostra rubrica dedicata all’Anno Sacerdotale oggi incontriamo un prete che
ha fatto del mare la sua missione: è don Luca Centurioni, coordinatore degli
80 cappellani di bordo che hanno scelto di annunciare il Vangelo sulle rotte degli
oceani, operando nel servizio dell'Apostolato del Mare italiano presso la Fondazione
Migrantes della Cei. Don Centurioni è imbarcato da 7 anni, condividendo la vita della
gente del mare, un popolo invisibile che lavora lontano dalla propria famiglia e dalla
propria patria. Claudia Di Lorenzi lo ha intervistato:
R. – Il cappellano
di bordo si occupa della cura pastorale degli equipaggi di bordo – gente di mare,
marinai, operatori anche del settore alberghiero di una nave – e quindi il cappellano
di bordo è piuttosto un cappellano del lavoro che un cappellano navigante per turismo.
D. - Ci racconta la sua giornata tipo... R.
– Su una nave, mediamente, ci sono circa mille persone di equipaggio e tutte sono
sotto i 40 anni. Il cappellano va a visitare le cucine, le cabine, il ristorante,
i vari laboratori meccanici o di servizio, di manutenzione della nave. Poi, nell’ufficio
del cappellano molti ragazzi vengono per parlare, chiedere un consiglio e anche per
organizzare alcune attività ricreative che si faranno durante le varie serate, proprio
per socializzare. Quindi, il cappellano ha questo ruolo di umanizzatore dell’ambiente
di lavoro a bordo di una nave. D. – In che modo si occupa della
cura pastorale dell’equipaggio? R. – Là dove il cappellano può
essere presente cerca di ricreare quella situazione almeno di piccola comunità navigante.
Organizza tutte le settimane la Messa domenicale, cerca di fare degli incontri anche
di formazione alla fede, cerca di vedere se qualcuno vuole fare un cammino di catechesi,
cerca di costruire una fraternità tra i lavoratori e mantenere viva quella fede che
uno ha portato da casa. Noi celebriamo quotidianamente per i passeggeri e la domenica
anche per l’equipaggio. La cappella, poi, comunque, non chiude mai. Chi lo desidera
va anche per un momento di preghiera e c’è anche il Tabernacolo con la custodia del
Santissimo Sacramento. D. – Dal punto di vista umano, quali
difficoltà affronta l’equipaggio di una nave? R. – Le maggiori
difficoltà sono legate soprattutto alla lontananza dalla famiglia, al fatto di essere
sempre e solo su una nave. Nei porti si è sempre degli stranieri, perché non è mai
la tua nazione, quella dove la nave attracca. Questo fa sì che il marittimo sia sempre
un po’ girovago, più che migrante. D. – E quali difficoltà invece
affrontano i cappellani di bordo? R. – Le difficoltà sono quelle
di essere lontani dal proprio ambito culturale, lontani dalla propria diocesi e soprattutto
soli. Come sacerdoti facciamo fatica a condividere la nostra esperienza, anche con
un altro sacerdote, perché non è sempre facile incontrarci né tra di noi, né a volte
nei Paesi dove andiamo. D. – Cosa la rende diverso da un missionario
di terra? R. – Io penso l’itineranza, che è legata al fatto
di incontrare sempre persone diverse: sia i passeggeri che ovviamente vanno in crociera
cambiano, sia anche l’equipaggio che, nell’arco di alcuni mesi, in realtà cambia quasi
tutto. In questo modo, il nostro servizio, è ancor più privo di gratificazioni, perché
non abbiamo il confronto con persone che rimangono con noi per molto tempo. Poi, però,
funziona molto la regola di San Paolo: uno semina, un altro irriga e un terzo raccoglie.