Il Papa alla Rota Romana: non separare carità e giustizia. Testo integrale
Stamani il Papa ha ricevuto nella Sala Clementina, in Vaticano, i componenti del Tribunale
della Rota Romana per l’inaugurazione dell'Anno giudiziario. Nel suo discorso ha sottolineato
la necessità, di fronte ai processi relativi alla dichiarazione di nullità del matrimonio,
di non separare le due dimensioni della giustizia e della carità. “Chi ama con carità
gli altri – ha detto - è anzitutto giusto verso di loro. Non solo la giustizia non
è estranea alla carità, non solo non è una via alternativa o parallela alla carità:
la giustizia è «inseparabile dalla carità», intrinseca ad essa” (Caritas in veritate).
La carità senza giustizia non è tale, ma soltanto una contraffazione, perché la stessa
carità richiede quella oggettività tipica della giustizia, che non va confusa con
disumana freddezza. A tale riguardo, come ebbe ad affermare il mio Predecessore, il
venerabile Giovanni Paolo II, nell’allocuzione dedicata ai rapporti tra pastorale
e diritto: “Il giudice […] deve sempre guardarsi dal rischio di una malintesa compassione
che scadrebbe in sentimentalismo, solo apparentemente pastorale”. Ecco il testo
integrale del discorso del Papa: Cari Componenti
del Tribunale della Rota Romana! Sono lieto di incontrarvi ancora
una volta per l’inaugurazione dell’Anno Giudiziario. Saluto cordialmente il Collegio
dei Prelati Uditori, ad iniziare dal Decano, Mons. Antoni Stankiewicz, che ringrazio
per le parole che mi ha rivolto a nome dei presenti. Estendo il mio saluto ai Promotori
di Giustizia, ai Difensori del Vincolo, agli altri Officiali, agli Avvocati e a tutti
i Collaboratori di codesto Tribunale Apostolico, come pure ai Membri dello Studio
Rotale. Colgo volentieri l’occasione per rinnovarvi l’espressione della mia profonda
stima e della mia sincera gratitudine per il vostro ministero ecclesiale, ribadendo,
allo stesso tempo, la necessità della vostra attività giudiziaria. Il prezioso lavoro
che i Prelati Uditori sono chiamati a svolgere con diligenza, a nome e per mandato
di questa Sede Apostolica, è sostenuto dalle autorevoli e consolidate tradizioni di
codesto Tribunale, al cui rispetto ciascuno di voi deve sentirsi personalmente impegnato. Oggi
desidero soffermarmi sul nucleo essenziale del vostro ministero, cercando di approfondirne
i rapporti con la giustizia, la carità e la verità. Farò riferimento soprattutto ad
alcune considerazioni esposte nell’Enciclica Caritas in veritate, le quali, pur essendo
considerate nel contesto della dottrina sociale della Chiesa, possono illuminare anche
altri ambiti ecclesiali. Occorre prendere atto della diffusa e radicata tendenza,
anche se non sempre manifesta, che porta a contrapporre la giustizia alla carità,
quasi che una escluda l’altra. In questa linea, riferendosi più specificamente alla
vita della Chiesa, alcuni ritengono che la carità pastorale potrebbe giustificare
ogni passo verso la dichiarazione della nullità del vincolo matrimoniale per venire
incontro alle persone che si trovano in situazione matrimoniale irregolare. La stessa
verità, pur invocata a parole, tenderebbe così ad essere vista in un'ottica strumentale,
che l’adatterebbe di volta in volta alle diverse esigenze che si presentano. Partendo
dall’espressione “amministrazione della giustizia”, vorrei ricordare innanzitutto
che il vostro ministero è essenzialmente opera di giustizia: una virtù - “che consiste
nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto”
(CCC, n. 1807) - della quale è quanto mai importante riscoprire il valore umano e
cristiano, anche all'interno della Chiesa. Il Diritto Canonico, a volte, è sottovalutato,
come se esso fosse un mero strumento tecnico al servizio di qualsiasi interesse soggettivo,
anche non fondato sulla verità. Occorre invece che tale Diritto venga sempre considerato
nel suo rapporto essenziale con la giustizia, nella consapevolezza che nella Chiesa
l’attività giuridica ha come fine la salvezza delle anime e “costituisce una peculiare
partecipazione alla missione di Cristo Pastore… nell’attualizzare l’ordine voluto
dallo stesso Cristo” (Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota Romana, 18 gennaio
1990, in AAS 82 [1990], p. 874, n.4). In questa prospettiva è da tenere presente,
qualunque sia la situazione, che il processo e la sentenza sono legati in modo fondamentale
alla giustizia e si pongono al suo servizio. Il processo e la sentenza hanno una grande
rilevanza sia per le parti, sia per l’intera compagine ecclesiale e ciò acquista un
valore del tutto singolare quando si tratta di pronunciarsi sulla nullità di un matrimonio,
il quale riguarda direttamente il bene umano e soprannaturale dei coniugi, nonché
il bene pubblico della Chiesa. Oltre a questa dimensione che potremmo definire “oggettiva”
della giustizia, ne esiste un’altra, inseparabile da essa, che riguarda gli “operatori
del diritto”, coloro, cioè, che la rendono possibile. Vorrei sottolineare come essi
devono essere caratterizzati da un alto esercizio delle virtù umane e cristiane, in
particolare della prudenza e della giustizia, ma anche della fortezza. Quest’ultima
diventa più rilevante quando l'ingiustizia appare la via più facile da seguire, in
quanto implica accondiscendenza ai desideri e alle aspettative delle parti, oppure
ai condizionamenti dell'ambiente sociale. In tale contesto, il giudice che desidera
essere giusto e vuole adeguarsi al paradigma classico della "giustizia vivente" (cfr
Aristotele, Etica nicomachea, V, 1132a), sperimenta la grave responsabilità davanti
a Dio e agli uomini della sua funzione, che include altresì la dovuta tempestività
in ogni fase del processo: «quam primum, salva iustitia» (Pontificio Consiglio per
i Testi Legislativi, Instr. Dignitas connubii, art. 72). Tutti coloro che operano
nel campo del Diritto, ognuno secondo la propria funzione, devono essere guidati dalla
giustizia. Penso in particolare agli avvocati, i quali devono non soltanto porre ogni
attenzione al rispetto della verità delle prove, ma anche evitare con cura di assumere,
come legali di fiducia, il patrocinio di cause che, secondo la loro coscienza, non
siano oggettivamente sostenibili. L’azione, poi, di chi amministra
la giustizia non può prescindere dalla carità. L'amore verso Dio e verso il prossimo
deve informare ogni attività, anche quella apparentemente più tecnica e burocratica.
Lo sguardo e la misura della carità aiuterà a non dimenticare che si è sempre davanti
a persone segnate da problemi e da sofferenze. Anche nell’ambito specifico del servizio
di operatori della giustizia vale il principio secondo cui “la carità eccede la giustizia”
(Enc. Caritas in veritate, n. 6). Di conseguenza, l'approccio alle persone, pur avendo
una sua specifica modalità legata al processo, deve calarsi nel caso concreto per
facilitare alle parti, mediante la delicatezza e la sollecitudine, il contatto con
il competente tribunale. In pari tempo, è importante adoperarsi fattivamente ogni
qualvolta si intraveda una speranza di buon esito, per indurre i coniugi a convalidare
eventualmente il matrimonio e a ristabilire la convivenza coniugale (cfr CIC, can.
1676). Non va, inoltre, tralasciato lo sforzo di instaurare tra le parti un clima
di disponibilità umana e cristiana, fondata sulla ricerca della verità (cfr Instr.
Dignitas connubii, art. 65 §§ 2-3). Tuttavia occorre ribadire
che ogni opera di autentica carità comprende il riferimento indispensabile alla giustizia,
tanto più nel nostro caso. “L'amore – «caritas» – è una forza straordinaria, che spinge
le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della
pace” (Enc. Caritas in veritate, n. 1). “Chi ama con carità gli altri è anzitutto
giusto verso di loro. Non solo la giustizia non è estranea alla carità, non solo non
è una via alternativa o parallela alla carità: la giustizia è «inseparabile dalla
carità», intrinseca ad essa” (Ibid., n. 6). La carità senza giustizia non è tale,
ma soltanto una contraffazione, perché la stessa carità richiede quella oggettività
tipica della giustizia, che non va confusa con disumana freddezza. A tale riguardo,
come ebbe ad affermare il mio Predecessore, il venerabile Giovanni Paolo II, nell’allocuzione
dedicata ai rapporti tra pastorale e diritto: “Il giudice […] deve sempre guardarsi
dal rischio di una malintesa compassione che scadrebbe in sentimentalismo, solo apparentemente
pastorale” (18 gennaio 1990, in AAS, 82 [1990], p. 875, n. 5). Occorre
rifuggire da richiami pseudopastorali che situano le questioni su un piano meramente
orizzontale, in cui ciò che conta è soddisfare le richieste soggettive per giungere
ad ogni costo alla dichiarazione di nullità, al fine di poter superare, tra l’altro,
gli ostacoli alla ricezione dei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Il bene
altissimo della riammissione alla Comunione eucaristica dopo la riconciliazione sacramentale,
esige invece di considerare l'autentico bene delle persone, inscindibile dalla verità
della loro situazione canonica. Sarebbe un bene fittizio, e una grave mancanza di
giustizia e di amore, spianare loro comunque la strada verso la ricezione dei sacramenti,
con il pericolo di farli vivere in contrasto oggettivo con la verità della propria
condizione personale. Circa la verità, nelle allocuzioni rivolte
a codesto Tribunale Apostolico, nel 2006 e nel 2007, ho ribadito la possibilità di
raggiungere la verità sull'essenza del matrimonio e sulla realtà di ogni situazione
personale che viene sottoposta al giudizio del tribunale (28 gennaio 2006, in AAS
98 [2006], pp. 135-138; e 27 gennaio 2007, in AAS 99 [2007], pp. 86-91; come pure
sulla verità nei processi matrimoniali (cfr Instr. Dignitas connubii, artt. 65 §§
1-2, 95 § 1, 167, 177, 178). Vorrei oggi sottolineare come sia la giustizia, sia la
carità, postulino l'amore alla verità e comportino essenzialmente la ricerca del vero.
In particolare, la carità rende il riferimento alla verità ancora più esigente. “Difendere
la verità, proporla con umiltà e convinzione e testimoniarla nella vita sono pertanto
forme esigenti e insostituibili di carità. Questa, infatti, «si compiace della verità»
(1 Cor 13, 6)” (Enc. Caritas in veritate, n. 1). “Solo nella verità la carità risplende
e può essere autenticamente vissuta […]. Senza verità la carità scivola nel sentimentalismo.
L'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio
dell'amore in una cultura senza verità. Esso è preda delle emozioni e delle opinioni
contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrario”
(Ibid., n. 3). Bisogna tener presente che un simile svuotamento
può verificarsi non solo nell'attività pratica del giudicare, ma anche nelle impostazioni
teoriche, che tanto influiscono poi sui giudizi concreti. Il problema si pone quando
viene più o meno oscurata la stessa essenza del matrimonio, radicata nella natura
dell'uomo e della donna, che consente di esprimere giudizi oggettivi sul singolo matrimonio.
In questo senso, la considerazione esistenziale, personalistica e relazionale dell'unione
coniugale non può mai essere fatta a scapito dell’indissolubilità, essenziale proprietà
che nel matrimonio cristiano consegue, con l’unità, una peculiare stabilità in ragione
del sacramento (cfr CIC, can. 1056). Non va, altresì, dimenticato che il matrimonio
gode del favore del diritto. Pertanto, in caso di dubbio, esso si deve intendere valido
fino a che non sia stato provato il contrario (cfr CIC, can. 1060). Altrimenti, si
corre il grave rischio di rimanere senza un punto di riferimento oggettivo per le
pronunce circa la nullità, trasformando ogni difficoltà coniugale in un sintomo di
mancata attuazione di un'unione il cui nucleo essenziale di giustizia – il vincolo
indissolubile – viene di fatto negato. Illustri Prelati Uditori, Officiali
ed Avvocati, vi affido queste riflessioni, ben conoscendo lo spirito di fedeltà che
vi anima e l’impegno che profondete nel dare attuazione piena alle norme della Chiesa,
nella ricerca del vero bene del Popolo di Dio. A conforto della vostra preziosa attività,
su ciascuno di voi e sul vostro quotidiano lavoro invoco la materna protezione di
Maria Santissima Speculum iustitiae e imparto con affetto la Benedizione Apostolica.
Omaggio del Decano, mons. Antoni Stankiewicz Beatissimo
Padre, con profonda gioia e filiale devozione desidero esprimere alla Santità
Vostra, a nome dei Prelati Uditori, degli Officiali, degli Avvocati e dei Collaboratori
del Tribunale della Rota Romana immensa gratitudine per la concessione di questa solenne
Udienza che dà inizio al nuovo Anno Giudiziario del 2010. In ossequio alla plurisecolare
tradizione rotaie relativa all'aperitio Rotae, ossia alla Rota iuramentorum, risalente
alla celebre Cost. ap. Ratio iuris di Giovanni XXII del 1331 (Bullarium Romanum, vol.
IV, pp. 317-323), abbiamo intrapreso I 'iter inaugurale con la celebrazione dell'Eucaristia,
l'invocazione dello Spirito Santo e il giuramento defidelitate et oboedientia «Beato
Petro et Domino Nostro Papae, eiusque legitimis Successoribus» nonché de munerefideliter
ac diligenter adiniplendo. Ora nel momento più atteso dell'atto inaugurale ci siamo
radunati attorno a Vol, Santo Padre, Supremo Giudice di tutti .i fedeli, al cui giudizio
si può ricorrere in tutte le cause di competenza della giutisdizione ecclesiale (Conc.
Vat. I, Cost. dogm. Pastor aeternùs, cap. 3; DS 3063), per sentire la Vostra sollicitudo
omnium Eccìesiarum (2 (or 11, 28), per ascoltare le auguste parole riguardo al nostro
munus iudicandi, che', per Vostro mandato espletiamo in modo
vicario, e da esse trarre conforo per. poter adempierlo con
rinnovato zelo e fedele impegno. Questa fedeltà dell'impegno
a beneficio della comunità ecclesiale richiama la nostra attenzione anzitutto alla
dimensione intrinseca del ministerium iudicis, il quale, secondo la vigente normativa
rotaie, è connesso con il sacerdozio ministeriale (art. 3, § 1 NRRT). Per questa ragione,
trovandoci nel corso dell'Anno Sacerdotale, indetto dalla Santità Vostra, la dimensione
spirituale del nostro sacerdozio e del nostro servizio nella definizione delle cause
concernenti le «res spirituales et spiritualibus adnexae» ed in cui «inest ratio peccati»
(can. 1401, nn. 1-2), ci sollecita a far tesoro delle Vostre ispirate parole sulla
«straordinaria fruttuosità generata dall'incontro tra la santità oggettiva del ministero
e quella soggettiva del ministro» che riscontriamo nella vita del Santo Curato d'Ars.
Egli difatti - secondo l'evocazione di Vostra Santità - «iniziò subito quest'umile
e paziente lavoro di armonizzazione tra la sua vita di ministro e la santità del ministero
a lui affidato» (Benedetto XVI, Lettera per l'indizione di un Anno Sacerdotale in
occasione del 150° anniversario del «dies natalis» del Santo Curato d'Ars, LEV, Città
del Vaticano 2009, p. 8). L'aspirazione a tale armonizzazione secondo
il Vostro magistero, Santità — può far si che «non nasca un vuoto esistenziale in
noi e non sia compromessa l'efficacia del nostro ministero» (ibid., p. 16) e che la
nostra adesione alla Parola dia un’impronta alla nostra vita sacerdotale, formi il
nostro pensiero ed illumini le nostre decisioni, specialmente nelle cause di nullità
del matrimonio sacramentale, che assorbono in grande misura la nostra attività ecclesiale. Nell’Enciclica
Caritas in Veritate la Santità Vostra avverte tutto il popolo di Dio del pericolo
per l'annuncio e la testimonianza cristiana, proveniente dalla diffusa tendenza «che
relativizza la verità» (nn. 2; 4) e diffonde «una visione relativistica» della persona
umana e della sua natura (n. 61), «nei contesti più esposti a tale pericolo», cioè
«in ambito sociale, giuridico, culturale e politico» (n. 2). Infatti questa tendenza
relativistica non di rado si insinua anche nelle dichiarazioni di nullità del matrimonio,
le quali in tal modo subiscono uno sviamento, venendo tramutate «in una facile via
per la soluzione dei matrimoni falliti» (Giovanni Paolo II, Allocuzione alla
Rota Romana, 5 febbraio 1987, AAS 79 [1987], pp. 1458-1459, n. 9), svuotando cosi
sia il senso della dichiarazione di nullità, sia il senso della stessa indissolubilità,
e infrangendo il disegno «iniziale» al quale Gesù Cristo ha inteso «ricondurre perentoriamente
chi scelga di essere suo discepolo». Pertanto, come «la via irrinunciabile per il
risanamento in senso cristiano del matrimonio è di ribadirne l'indissolubilità e di
richiamare il Vangelo» (I. Biffi, Nessuno è escluso dall'amore di Cristo, in L'Osservatore
Romano, 29 maggio 2009, p. 6), cosi anche «le dichiarazioni di nullità del matrimonio
per i motivi stabiliti dalle norme canoniche, specialmente per i difetti e i vizi
del consenso (cann. 1095-1107), non possono contrastare con il principio dell'indissolubilità»
(Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota Romana, 21 gennaio 2000, AAS 92 [2000],
p. 352, n. 4). Beatissimo Padre! Ciascuno di noi Giudici sperimenta sovente
la difficoltà di effettuare una giusta ed equa composizione tra le istanze legittime
dei fedeli, che rivendicano i loro diritti presso il foro ecclesiale (can. 221, §
1), e la forza vincolante dei sacri canones che disciplinano le esigenze dello ius
divinum positivum et naturale sull'istituto matrimoniale. Affidandoci alla luce dello
Spirito Santo che invochiamo prima di ogni decisione giudiziale e alla protezione
di Maria Santissima, Speculum Iustitiae et Mater Familiae, Vi chiediamo, Santità,
di illuminarci con la Vostra augusta parola e di impartirci la Benedizione Apostolica
per il nostro quotidiano impegno.