Convegno sul fine vita all'Università Cattolica di Roma
Ribadire la dignità della persona umana e il valore fondamentale della vita. Prendersi
cura, fino alla fine, di chi è provato dalla malattia. È il messaggio emerso dall’incontro
organizzato ieri dal Movimento per la Vita all’Università Cattolica del Sacro Cuore
di Roma per riflettere sul fine vita a un anno dalla morte di Eluana Englaro e mentre
procedono i lavori del Parlamento sul disegno di legge relativo al cosiddetto testamento
biologico. Una tavola rotonda che ha inaugurato la serie di eventi previsti per celebrare
la trentaduesima Giornata per la vita proclamata dai vescovi italiani per il 7 febbraio.
Linda Giannattasio.
Prima
di tutto la vita. Prendersi cura, fino alla fine. Attorno a queste parole, si è voluto
approfondire il tema del fine vita attraverso un unico filo conduttore che è la condivisione,
la presa in carico di chi è provato dalla malattia. Tanti gli argomenti sul tavolo,
a partire dal senso della sofferenza, fino alle difficoltà del medico e alle polemiche
riguardanti l’interruzione di alimentazione e idratazione. Su questo tema ascoltiamo
il prof. Rodolfo Proietti, ordinario di anestesia e rianimazione
all’Università Cattolica:
“Bisogna distinguere se la morte è causata
dall’evoluzione della malattia o se la morte è direttamente causata dalla sospensione
delle cure, in questo caso – e questo è il caso della sospensione della nutrizione
e dell’idratazione che direttamente provoca la morte e non l’evoluzione della malattia
– noi parliamo di vera e propria eutanasia”.
Il convegno si è poi occupato
del ddl sul fine vita in discussione alla Camera. Il testo tra l’altro stabilisce
che un individuo non possa dichiarare di rifiutare idratazione e alimentazione nel
caso si trovasse in condizione di incoscienza. Quali dunque i punti cardine che una
legge su questi temi dovrebbe includere? Ascoltiamo Carlo Casini,
presidente del Movimento per la Vita:
“A parte il punto già ricordato,
le due questioni irrinunciabili sono le seguenti: primo, l’attualità dell’eventuale
dissenso: se io ho perso la coscienza, non si può tener conto di ciò che ho detto
chissà quando e chissà come, perché non conoscevo la situazione esistenziale nella
quale mi sarei trovato. Secondo punto è il non vincolo per il medico. Il medico non
è un esecutore di ordini altrui, ma è uno che, giustamente, deve, insieme al malato,
scegliere la terapia migliore.”
Una tavola rotonda
che non ha tralasciato infine l’importanza di accompagnare il malato nell’ultimo periodo
della sua vita e di stare accanto alla sua famiglia, come sottolinea Adriana
Turriziani, primario dell’Hospice oncologico del policlinico Gemelli:
“Un
malato grave, un malato in fase terminale, un malato in evoluzione, ha sempre bisogno
di sentirsi preso in carico e assistito in modo globale, nella globalità del suo dolore,
nel suo dolore totale: il che vuol dire dolore fisico, esistenziale, psicologico,
spirituale. E le cure palliative, i principi e la filosofia dell’Hospice hanno tra
i propri obiettivi aiutare il malato in questo senso, prendersi carico della persona,
non solo della malattia”.