L'udienza generale dedicata dal Papa a San Francesco: gigante della santità e uomo
del dialogo, che insegna l'amore per Dio e il Creato
“Un gigante della santità”: è una delle tante, ammirate, definizioni che Benedetto
XVI ha dedicato a San Francesco. La vita e la straordinaria testimonianza di carità
del Poverello di Assisi sono state al centro all’udienza generale di oggi in Aula
Paolo VI. San Francesco, ha affermato il Papa, resta un affascinante modello di santità,
di gioia cristiana, di dialogo interreligioso, di amore per la Chiesa e per il Creato.
Il servizio di Alessandro De Carolis:
“Nacque al
mondo un sole”. Le migliaia di persone presenti in Aula Paolo VI hanno sentito il
Papa fare suo lo stupore di Dante Alighieri, che settecento anni fa, in una terzina
della Divina Commedia, usò questa espressione per parlare della nascita di San Francesco.
Un Santo di caratura universale, per il quale ci si è sforzati lungo i secoli di coniare
appellativi che provassero a restituirne la grandezza. “Alter Christus”, “fratello
di Gesù”. Benedetto XVI li ha ricordati e ripetuti - spesso alternando al testo scritto
riflessioni spontanee permeate di genuino entusiasmo verso il Santo di Assisi - del
quale ha sintetizzato così l’ideale più intimo dell’anima: “Essere
come Gesù; contemplare il Cristo del Vangelo, amarlo intensamente, imitarne le virtù.
In particolare, egli ha voluto dare un valore fondamentale alla povertà interiore
ed esteriore, insegnandola anche ai suoi figli spirituali (...) La testimonianza di
Francesco, che ha amato la povertà per seguire Cristo con dedizione e libertà totali,
continua ad essere anche per noi un invito a coltivare la povertà interiore per crescere
nella fiducia in Dio, unendo anche uno stile di vita sobrio e un distacco dai beni
materiali”. Ripercorrendo le fasi più importanti
della sua vita - la conversione, la rinuncia ai beni materiali per il bene di Dio,
il viaggio a Roma da Innocenzo III - il Papa si è soffermato con una digressione a
braccio sul “forte simbolismo” che avvolge l’episodio avvenuto nella chiesa diroccata
di San Damiano, quando per tre volte il Crocifisso chiede a Francesco di riparare
la sua “Chiesa in rovina”: “Lo stato rovinoso di questo edificio
è simbolo della situazione drammatica e inquietante della Chiesa stessa in quel tempo,
con una fede superficiale che non forma e non trasforma la vita, con un clero poco
zelante (...) Tuttavia, in questa Chiesa in rovina sta nel centro il Crocifisso e
parla: chiama al rinnovamento, chiama Francesco ad un lavoro manuale per riparare
concretamente la chiesetta di san Damiano, simbolo della chiamata più profonda a rinnovare
la Chiesa stessa di Cristo, con la sua radicalità di fede e con il suo entusiasmo
di amore per Cristo”. Connessa a ciò, ha proseguito
Benedetto XVI, va considerata anche “la grande deferenza” che il Santo di Assisi nutrì
verso i sacerdoti, anche quelli “poco degni”, per via del loro potere di rendere presente
Cristo nell’Eucaristia, così come il rispetto nei riguardi del Pontefice di Roma.
Francesco, ha osservato Benedetto XVI, non rinnovò la Chiesa “contro il Papa” ma assieme
a lui poiché: “…il Poverello di Assisi aveva compreso che
ogni carisma donato dallo Spirito Santo va posto a servizio del Corpo Mistico, che
è la Chiesa; pertanto agì sempre in piena comunione con l’autorità ecclesiastica.
Nella vita dei Santi non c’è contrasto tra carisma profetico e carisma di governo
e, se qualche tensione viene a crearsi, essi sanno attendere con pazienza i tempi
dello Spirito Santo”. Con l’approvazione pontificia,
consolidata dai successori di Innocenzo III, l’Ordine francescano cresce e si ramifica
arrivando a testimoniare il proprio carisma ben più in là dei villaggi dell’Italia
centrale dov’era sorto. Ed emblematica diventa la missione che Francesco compie in
Egitto per predicare il Vangelo al cospetto di un sultano musulmano: “In
un’epoca in cui era in atto uno scontro tra il cristianesimo e l’islam, Francesco,
armato solo della sua fede e della sua mitezza personale, percorse con efficacia la
via del dialogo (...) È un modello al quale anche oggi dovrebbero ispirarsi i rapporti
tra cristiani e musulmani: promuovere un dialogo nella verità, nel rispetto reciproco
e nella mutua comprensione”. Francesco muore alla
Porziuncola - “sulla nuda terra”, ha ricordato il Papa - la sera del 3 ottobre 1226.
Nemmeno per un istante muore invece la sua eredità spirituale. Il suo essere un “uomo
gioioso” semplice e umile, innamorato di Cristo, diventa uno stile che suscita un
numero infinito di seguaci. E non muore quel “senso della fraternità universale” che
si traduce per Francesco nel “Cantico delle creature” e per l’umanità di oggi, ha
affermato Benedetto XVI, in un “messaggio molto attuale”: “Come
ho ricordato nella mia recente Enciclica Caritas in veritate, è sostenibile solo uno
sviluppo che rispetti la creazione e che non danneggi l’ambiente, e nel Messaggio
per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno ho sottolineato che anche la costruzione
di una pace solida è legata al rispetto dell’ambiente”. Resta,
dunque, di San Francesco il tratto della “perfetta letizia”, che lo rese un uomo “lieto
in ogni situazione”. Da questo, ha concluso il Papa, comprendiamo "il segreto della
vera felicità: diventare santi, vicini a Dio”.